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Urbi et Orbi

DEEP HUMAN

PAOLO CREMONESI - 21/01/2022

dont-look-up“Don’t look up” si avvia ad essere il film con maggior numero di visualizzazioni su Netflix. In sala solo per una manciata di giorni, i produttori hanno preferito concentrare gli sforzi sulla piattaforma, fiutando una tendenza generale ma anche la crisi del cinema in presenza causa pandemia.

La pellicola, come è noto, affronta il tema attuale dello scontro tra competenza e credulità, raccontando la storia della dottoressa in astronomia Kate Dibiasky e del suo professore Randall Mindly che scoprono l’esistenza di una cometa non ancora identificata. Calcolandone la traiettoria si accorgono che il corpo celeste colpirà in pieno la Terra in circa sei mesi e che le sue dimensioni sono tali da comportarne la distruzione completa. Insieme al funzionario governativo Teddy Oglethorpe, che si occupa di pericoli di questo tipo, i due si recano a Washington per lanciare l’allarme. Ma nella capitale vengono letteralmente fagocitati da una farneticante presidente degli Stati Uniti impegnata nei suoi calcoli elettorali, da un cinico plurimiliardario che intende sfruttare la cometa ai fini di estrazioni minerarie, dal circo dei mass media che, invece di cercare di capire, titilla solo gli aspetti più emozionali. Anziché unirsi in una azione comune l’umanità preferisce così dividersi tra negazionisti della cometa, ormai visibile ad occhio nudo (da qui il “Don’t look up”- Non guardare in alto – del titolo) e litigiosi capi di Stato che, impegnati a guardare ciascuno al proprio orticello, sprecano tempo prezioso.

Per struttura, temi e in parte anche stile di racconto, “Don’t Look up” guarda al Saturday Night Liveda cui proviene il regista Adam Mc Kay ed ai cartoon che hanno cambiato l’umorismo tv, come I Simpson e South Park, mentre sul fronte cinematografico la pellicola strizza l’occhio al genere catastrofico tipo Armageddon o Deep Impact. Se Mc Kay era riuscito in altre sue opere (come “La grande scommessa” sullo scandalo Leman Brother) a realizzare una lucida e realista analisi, in queste oltre due ore di film mette a tema tante denunce non sempre in maniera equilibrata, nonostante il cast stellare. Il rischio di una certa confusione nel racconto è palpabile, ma la descrizione dei negazionisti e della loro incomprensibile irrazionalità (proprio come sta accadendo in questi mesi riguardo ai vaccini anticovid) rimane un punto di forza del film.

Tra le decine di spunti lanciate da “Don’t look up” ne raccolgo due. Il primo riguarda la diffusione degli psicofarmaci a livello di massa. Non v’è – nel film – politico, giornalista ma anche ricercatore o semplice ospite di un talk show che non confessi allegramente di farne uso. E questo, al di là dei voluti aspetti paradossali cercati dal regista, qualche interrogativo, sul tipo di umanità con cui abbiamo a che fare e sulla sua percezione falsata della realtà, lo suscita.

La seconda considerazione riguarda la riscoperta del valore dell’amicizia. La scena conclusiva della pellicola si svolge intorno ad una grande tavola dove tutti gli affetti ricomposti dei protagonisti trovano il loro posto. Anche in un’altra recente serie Netflix di grande successo, “La regina degli scacchi”, la protagonista riscopre l’energia per vincere lo sfidante russo grazie all’amicizia a distanza con alcuni ex colleghi o addirittura avversari che in passato aveva battuto.

Non viviamo solo di isolamento da covid. Non viviamo solo di pensieri. E la recente cinematografia americana ci invita a riscoprire il valore della carnalità di una amicizia. “Essere umani” ha scritto recentemente Davide Prosperi presidente della Fraternità di CL sul Corriere della Sera (8 Gennaio 2022) significa anche questo: non siamo puri spiriti. Nulla può sostituire la carne, uno sguardo, un abbraccio, una parola detta dal vivo. Dio non ci ha telefonato per dirci chi siamo ai suoi occhi. Forse, nell’era di Internet e della sua solitudine, paradossalmente ci voleva qualcosa come il Covid per farci riscoprire il meraviglioso potere che il nostro fragile corpo nasconde.

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