Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Opinioni

QUALI DIGNITOSI

ROBERTO CECCHI - 10/02/2022

giornalistiNelle settimane passate mi è capitato per caso di seguire con una certa assiduità alcune maratone televisive fatte apposta per stare alle calcagna della politica ad ogni suo passo. Durano giornate intere, dalla mattina alla sera, e per questo si chiamano appunto maratone. Raccontano in diretta qualsiasi passaggio, argomenti salienti e marginalità. I giornalisti vengono sguinzagliati per ogni dove, ma soprattutto stanno a presidio dei luoghi canonici come Palazzo Chigi, Montecitorio, Palazzo Madama, ma senza disdegnare di frequentare anche bar e ristoranti dove bazzicano i parlamentari, per carpire anche il più remoto cinguettio. Ogni colpo di tosse di chiunque sia interessato, in qualche modo, ad una vicenda che si trovi all’ordine del giorno, viene discusso e commentato in studio da un conduttore, che ha anche un ruolo di regista per intervistatori e ospiti. La discussione è un lavoro di dissezione vero e proprio, dove ogni parola vien pesata col bilancino, rivoltata come una frittata e data in pasto a diversi commentatori di testate giornalistiche, grandi e piccole e di orientamenti diversi.

A prima vista sembrano trasmissioni inutili, fatte apposta per riempire in qualche modo uno spazio editoriale che altrimenti rimarrebbe vuoto. Apparentemente, si discute del nulla, di questioni insignificanti, un po’ come sentir parlare di calcio al bar. E invece, a ben guardare, sono trasmissioni che riescono a dare la misura esatta della politica, dei suoi retroscena, della sua (poca) sostanza e della sua (mancanza di) credibilità. Stavolta, l’argomento delle maratone televisive era l’elezione del presidente della Repubblica. Nella scena madre, alcuni giorni prima del voto, tutti i politici intervistati, indistintamente e per giorni, ci han fatto sapere di non voler fare i nomi del candidato prescelto. Dicevano che non sarebbe stato serio indicare una personalità piuttosto che un’altra. Quel che conta – si sosteneva – non è il nome, ma il metodo da seguire per individuare la figura più adatta a ricoprire il ruolo più alto, a garanzia dell’unità della Nazione.

Per giorni, dichiarazioni in questo senso si sono susseguite una dopo l’altra, come una litania. Poi, improvvisamente lo scenario è cambiato di colpo. È sparito qualsiasi accenno al metodo e si è parlato solo di nomi. Uno scatafascio di nomi. Solo nomi. Uomini, donne, funzionari dello stato, politici, professori, magistrati – mancavano solo i bambini – sono stati scaraventati sulla ribalta della scena per lo spazio di pochi minuti, o di una giornata al massimo. Improvvisamente, tutti quanti venivano indicati come soggetti destinati a ricoprire la più alta carica dello Stato e poi, immancabilmente, bruciati, uno dopo l’altro, sull’altare di veti incrociati. Senza un perché. Senza riuscire a capire neanche minimamente come si formasse il giudizio sull’uno o sull’altro. Senza un minimo di coerenza (il Matteo del nord ha dato il suo meglio in questo gioco al massacro).

Vedere tutto questo in diretta, momento dopo momento, è stata un’esperienza sconcertante. E rimanere attaccati al televisore è stato come patire una sofferenza fisica. Uno sconcerto mitigato solo dal fatto di sentire, qualche giorno dopo, che anche per il “nuovo” presidente della Repubblica quelle giornate erano state un travaglio. Che probabilmente, non è stato alleviato neanche dalla sequela di appalusi (ben 55) che hanno accompagnato il suo discorso di rito. Perché non erano applausi. Era un modo di esorcizzare il ridicolo di quei giorni, quando un intero parlamento, per la seconda volta consecutiva dalla nascita della Repubblica, non era stato capace di trovare un accordo su un nome condiviso ed aveva dovuto abdicare alle proprie prerogative, confermando come ultima ratio il presidente uscente. Erano applausi che stridevano come il gesso sulla lavagna, dopo le scene che si erano viste fino al giorno precedente, di un parlamento bloccato, incapace di qualsiasi decisione. Insomma, un passaggio della politica molto poco dignitoso. E forse per questo il “nuovo” presidente ha insistito parecchio sull’idea di “dignità” da tenere come bussola per il futuro. Forse si può parlare di scampato pericolo. Ma non bisogna farsi illusioni. Quel che abbiam visto è lo stigma di questa classe politica. C’è poco da fare. Se non creare le condizioni per un’offerta politica completamente diversa, fatta di competenza, correttezza e sobrietà.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login