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Artemixia

ASCOLTO E UMANITÀ

LUISA NEGRI - 10/02/2022

“Ascolto, comprensione, condivisione e umanità”.

Tutto questo racconta Michele Bravi di aver trovato a Sanremo, nel suo festival, perché tale lo ritiene ormai: una casa dove il fuoco del camino è rimasto sempre acceso.

E dove i giovani si sono confrontati coi vecchi, anche di due generazioni avanti, con reciproco interesse.

Autore e interprete di una canzone offerta con malinconico garbo, I fiori dell’inverno, Michele ha estratto dalle tasche della giacca, alla fine della sua esibizione canora, un prezioso tesoro: le due fedi dei nonni che non ci sono più. A loro ha dedicato il suo festival. Vorrebbe averli vicino, e ci tiene a farlo sapere. Forse è uno dei tanti ragazzi cresciuti dai nonni. È certo che loro siano con lui a Sanremo. Magari dietro le quinte, discreti – presenti ma invisibili – al modo dei nonni.

Irama, aspetto grintoso da nobile guerriero, un quarto posto meritato, aveva anche lui qualcosa in tasca. Un biglietto del suo prossimo concerto. Per un appuntamento a sorpresa con una lei. Poi, quella mano ha dovuto lasciare la sua e la sorpresa è svanita. È volata in cielo, come dicono i nipotini di una nonna che non c’è più. E allora lui le ha dedicato la sua canzone: “Ovunque sarai”. Bellissima. Con la promessa che la cercherà sempre.

Questo festival di Amedeo Sebastiani, in arte Amadeus, ha permesso ai giovani partecipanti di scoprire i sentimenti e gli affetti senza vergognarsene o temere di apparire opportunisti. Come dimostra la canzone vincitrice di Mahmood e Blanco: “Brividi”.

Cucito dal conduttore e direttore artistico con l’arte della gentilezza, dell’ironia, dell’attenzione a tutto e tutti. Agilità da professionista e nessuna supponenza, dote ormai rara, Amadeus ha trovato il giusto ritmo per rimettere in corsa al meglio la locomotiva canora della Riviera dei Fiori.

Che cominciò a marciare nel 1950, attraversando la storia di un Paese. Tra uno sbuffo e l’altro, ha ripreso nelle ultime edizioni a correre con allegria. Una striscia di musica italiana lanciata verso il cielo, alle soglie della primavera, come l’arcobaleno che incornicia l’Ariston dopo il temporale. Destinazione Sanremo, una delle più solari e luminose località liguri, crogiolo di vite importanti: Nobel, Calvino, Tenco.

Già, Tenco. Vittima di un’incolmabile infelicità. L’avevamo ascoltata tutti con un groppo in gola, noi giurassici, quella “solita strada bianca come il sale”. Il motivo del gesto fa ancora discutere: e la polemica a distanza su come andò davvero non cancella l’ombra di inquietudine che correva su bel viso imbronciato di quel ragazzo triste, che non aveva mai conosciuto un padre.

Ha tirato via, questo Festival, con qualche affanno pandemico, persino la benda che copre da mesi la mano ustionata di Gianni Morandi, uno dei vecchi della competizione canora, settantasette anni portati con fierezza. Ma ha anche avvicinato tra loro i partecipanti, evidenziandone più le differenze fra tre generazioni. Non tanto per le diverse età, o l’ostentazione delle magre nudità o gli aggressivi abbigliamenti e tatuaggi dei giovanissimi, quanto per la loro fragilità. Dietro le quinte e nei siparietti, tra un programma e l’altro di Rai 1, cercavano sostegno e conferma nei colleghi maturi: quelli che da giovani chiamavano i loro genitori ‘matusa’ e ‘amavano i Beatles e i Rolling Stones’. Anche gli ‘urlatori’ come Gianni Morandi, per capirci, o i ragazzi, già ‘saggi’ da subito, come Ranieri: che continuano a piacere. Giovanni Calone, questo il suo nome vero, era cresciuto in una famiglia con otto figli, distribuiti in due stanze. Strillone di giornali a sette anni, poi barista, lo sguardo sorridente sempre, poi ancora cantante di piano bar imbarcato da minorenne, con un tutore, su di una nave per l’America. Come nella struggente canzone Lettera di là dal mare, ritagliata su misura per lui da Fabio Ilacqua, autore varesino di successo.

Una famiglia alle spalle, una madre saggia e un padre che ti protegge, un nugolo di fratelli. Potrebbe quindi stare qui la differenza tra essere e apparire.

Tu insegnami come si fa ad imparare la felicità.
se fossimo di suoni sarebbero canzoni
e se fossimo stagioni verrebbe l’inverno,
l’inverno dei fiori

È la richiesta esplicita, di Bravi, che vuole una risposta. E non può essere quella poco evangelica, distante, di chi teme, chissà perché, la contaminazione tra i battesimi in Chiesa e quello attoriale sul palco di Achille Lauro, uno che, per biografia e solitudine, somiglia almeno un po’ al figliol prodigo. Forse la risposta, la chiave che apre le porte, tutte le porte della felicità dei nostri giovani, è, al contrario, “nella vicinanza”.

Lo ha detto Papa Francesco a Fazio. “La società crudele stacca dai figli. Ma un buon padre deve essere vicino, quasi complice”.

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