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Società

EFFETTI COLLATERALI

RENATA BALLERIO - 11/03/2022

russa“…Eravamo a Odessa, nel 1921, mamma aveva lasciato l’Italia e mi aveva portato con sé, per andare a cercare papà del quale non aveva più notizie dalla rivoluzione russa. A Kiev, mamma aveva saputo che papà era stato fucilato dai rossi. Era professore di latino e di greco…Adesso tornavamo in Italia: a Odessa vi erano tre navi venute dall’Italia a prendere gli italiani che fuggivano alla rivoluzione, per riportarli in patria. La città era dei bianchi o dei rossi, ero troppo piccolo per interessarmene, però era dei militari e della guerra, lo si capiva subito, anche un bambino come me. Tutti i negozi erano chiusi, le strade completamente deserte, ogni tanto si sentiva sparare, ogni tanto passavano colonne interminabili di soldati. E c’era la fame…”

Quel bambino aveva dieci anni, era nato a Kiev e divenne in Italia uno scrittore di successo, prima di romanzi rosa, poi padre indiscusso del noir. Basterebbe questo racconto di Giorgio Scerbanenco per ricordare quanta vita pulsi in pagine letterarie. E lo sguardo di quel bambino ci richiama dolorosamente lo sguardo dei bambini ucraini che stanno capendo, anche in questo 2022, la guerra e vedono i negozi chiusi, le colonne dei carri armati.

E alle atrocità alle quali stiamo assistendo sui divani delle nostre case, ricercando un senso a quanto senso non ha, dobbiamo aggiungere assurdità che sfuggono ad una basilare comprensione. La scrittrice canadese Margaret Atwood intervistata sulla scelta di sospendere alla Bicocca un corso su Dostoevskij ha risposto: «La paura dei russi è una follia. Cosa c’entra Dostoevskij con Putin?». Il docente dell’Università al quale è stato chiesto di integrare il corso con scrittori ucraini si è rifiutato perché non li conosce.

Il problema non è non conoscerli, è, invece, ricordare a tutti che la cultura è conoscenza seria e approfondita. Correggendo la signora Atwood, bisogna affermare che la paura della cultura è follia. Il direttore di Civiltà Cattolica padre Antonio Spadaro ha detto che senza cultura c’è solo imbarbarimento. Ricordarlo non fa male. In questi giorni c’è stata quasi una corsa mediatica per segnalare scrittori ucraini di ieri e di oggi. Purtroppo di questi ultimi pochi sono tradotti in italiano.

Paolo Mieli in brevissime lezioni per il Corriere della Sera sull’Ucraina ha ricordato che negli ultimi 50 anni gli ucraini hanno riscoperto una cosa di cui andare molto orgogliosi: quello che hanno dato come arte e letteratura al patrimonio nazionale. Per questo elenca Gogol, Bulgakov e altri nati in Ucraina come Roth e Conrad. E il titolo di un articolo de il Foglio ricorda di Leggere Gogol per capire il coraggio degli Ucraini. Informazioni utili ma non sufficienti per armarci dell’unica arma che amiamo: la cultura.

E magari ricordarci che l’azzurro della bandiera ucraina simboleggia non solo il cielo ma anche la pace e il giallo ricorda i campi di grano, cioè la prosperità, quella che la guerra sta negando. A noi, ora più che mai, il compito di far prosperare le idee ricordandoci, come ha fatto Paolo Giordano sulle pagine de Il Corriere della Sera, che purtroppo il nostro immaginario sulla cultura dell’Ucraina è ancora povero.

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