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Cultura

MANICHEISMO

LIVIO GHIRINGHELLI - 11/03/2022

maniCosì come il Cristianesimo e l’Islamismo, anche il Manicheismo è una religione del Libro. Per Mani, il suo Profeta, Zarathustra, Buddha e Gesù sono incorsi nello scacco, perché hanno trascurato di scrivere personalmente i loro testi di rivelazione. Mani ha invece redatto egli stesso il corpus dei Libri canonici della sua Chiesa. Uno dei lotti scoperti all’inizio del XX secolo così si compone: 19 Kephalaia (capitoli del maestro, dialoghi dei discepoli); 2) lettere di Mani, come quelle di Paolo, alcune di carattere strettamente dottrinale ; 3) storia della Chiesa manichea. Quattro raccolte figurano nella Collezione Chester Beatty di Londra, attualmente a Dublino: 1) Libro di Mani, Antifonario della Chiesa di Egitto; 2) omelie per la catechesi; 3) Commenti del Vangelo vivente; 4) una collezione di Kephalaia (seconda parte dei Commentari dottrinali dei logia di Mani).

Il manicheismo, religione del Libro con l’ambizione dell’universalità, è una gnosi all’interno di una serie di miti cosmogonici ed escatologici. Fondamentale risulta l’eredità di Zoroastro. Vi domina una concezione pessimistica, malvagia del mondo, che è soggiogato al principe delle tenebre. Comune è il fondamento mesopotamico per manicheismo, mandeismo e gnosticismo. Sullo sfondo il diffuso e grave malessere sociale, cui risponde il rigorismo etico di Mani, che si ritiene sigillo di tutti i messaggeri di salvezza. Luce e tenebre, spirito e materia, bene e male si mescolano. La salvezza è reperibile in una radicale separazione nella tensione verso una purezza, che vede il suo trionfo nella conflagrazione finale. L’era di Mani le è immediatamente precedente (di una durata di 1468 anni). Alla liberazione si perviene quando si è in grado di interpretare le connessioni del dualismo cosmico. Gli uomini li distinguono in eletti e catecumeni (auditores), i primi redenti attraverso il sole e la luna, gli altri attraverso la reincarnazione nel corpo degli eletti; i non manichei sono condannati a rimanere per sempre nelle tenebre.

Mani predica una rigorosa ascesi di monaci mendicanti, tenuti ad osservare i comandamenti dei tre sigilli impressi su mano, bocca, pube. È proibito il consumo di carne, sangue, vino; vietata qualunque azione diretta contro il principio della luce, attenendosi invece alla castità. Compito dei catecumeni altresì è quello di provvedere al mantenimento degli eletti. Nel banchetto sacro è celebrato il mistero della purificazione della luce. Ogni anno veniva celebrata una festa chiamata bema (= trono, pulpito) a rievocare il martirio e l’ascesa al cielo di Mani. L’ordinamento prevedeva 5 gradi diversi di catecumenato, la divisione degli eletti in diaconi, vescovi, anziani e giusti. A capo il condottiero vicario di Mani, cioè l’imam di Samarcanda.

Il persiano Mani (216-277 d,C.) nasce da genitori discendenti da stirpi reali e cresce a Seleucia in ambienti molto vicini al mandeismo (manda in aramaico significa sapere, conoscenza, gnosi), sorto intorno al I secolo d.C. A 12 e a 24 anni riceve due rivelazioni da parte del re della Luce grazie alla mediazione dell’angelo at-Taum. Come profeta di Babilonia comincia a predicare il suo messaggio e con lunghi viaggi missionari giunge fino in India. Il re persiano Shapur I gli si rivela favorevole, così Hormidz I, ostile invece Bahram I, conquistato dallo zoroastrismo, che lo fa imprigionare. Muore in carcere all’età di 60 anni. Subitanea è la diffusione della dottrina in Mesopotamia, Siria, Egitto, Nordafrica, Spagna, Cina. La massima diffusione nell’impero romano si ha nel quarto secolo. Agostino ne è seguace tra il 376 e il 384 attenendosi a un pentateuco, ma ne fa poi aspre critiche. Tra il 763 e l’814 il manicheismo diverrà religione di Stato nell’Impero dei Turchi uiguri (Mongolia), ma già nel 297 Diocleziano promulga un editto contrario, causa il pericolo di disordini sociali e dal 382 è prescritta per i seguaci una punizione con la morte.

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