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Politica

DÉPENDANCE

MASSIMO LODI - 15/04/2022

franciaIn Francia c’è un populismo diviso, Le Pen e Mélenchon. A contorno, residuali margini di radicalità contestatrice. Se fosse unitario, il fenomeno politico spazzerebbe via Macron. L’avrebbe già spazzato. Non perché il capo di En Marche sia un cattivo governante, ma perché non sa spiegare/comunicare il buono in cui s’adopera. Uno che si prende da centrista l’eredità storica del socialriformismo, v’incolla lo spirito repubblicano-liberal, sta in cima e non nella retroguardia d’Europa, dovrebbe fare il pieno di voti. Invece attorno gli si crea il vuoto. La controcampagna dei no-Emmanuel ha picchiato su caro economico e disagio sociale: precedenti e successivi alla guerra. Specialmente successivi, causa sanzioni.

Chiacchiera facile. Ma di non difficile presa sugl’infuriati connazionali, che stan poco a discutere delle brutalità di Putin e molto a guardare nelle loro tasche vuote. Da qui viene il risultato del primo turno. Il secondo è aperto a qualunque esito, pur se Macron parte favorito. È augurabile che vinca, nel caso opposto saremmo alla cancellazione dell’Occidente d’oggi. Perché la Le Pen è putinista, sovranista, chiusurista. La tela resistente, faticosamente cucita per schermare lo zar invasore, finirebbe in brandelli.

L’esito transalpino ricadrà su di noi. Salvini, Meloni e Conte siedono interessati al bordo del campo dove tutti si giocano tutto. Il primo, addirittura disponibile a una champagnata pro Madame, tifa per il ribaltone. La seconda ne prende astute distanze: è conservatrice, ma non “derivista” al modo di Marine. Però se vincesse, non sarebbe un dispiacere: s’innescherebbe un rivolgimento infranazionale a giovamento anche di Fratelli d’Italia.

 Il terzo sta sulle sue, meglio differenziare la propria cifra politica (“Non sia l’estrema destra a dare risposte ai bisogni reali”) salvo riscriverla ad evento elettorale concluso. Peraltro, nessuna doglianza grillina qualora Monsieur venisse spedito a casa. La vicenda allerta tuttavia un rammarico: ah, se il populismo nostrano (i gialloverdi) non si fosse spaccato, metabolizzando l’insofferenza della gente antisistema di cui era la rappresentanza.

Nell’attesa del verdetto, Draghi ha di che preoccuparsi. La sua maggioranza sta ormai insieme con la saliva, e (cinico paradosso) se non fossimo in periodo bellico si sarebbe già diluita in acqua fresca. Le elezioni anticipate, Ucraina o non Ucraina, sono meno utopistiche di quanto sembri. Sicure (1), qualora Macron subisse la più clamorosa delle sconfitte. Comunque possibili (2), nella circostanza contraria.

Né Salvini né Conte né la Meloni hanno convenienza ad arrivare sfibrati di consenso alla primavera 2023, essendo costretti Salvini e Conte a intestarsi direttamente la politica di sacrifici indispensabile nell’economia di guerra; ed essendo obbligata la Meloni a condividere almeno una parte delle misure restrittive necessarie a fronteggiare l’aggressione russa. Concludendo: Parigi trema, Roma ne avverte le scosse. Palazzo Chigi non è l’Eliseo, ma l’unità d’intenti imposta dal capriccio della storia, rende l’Italia una dépendance della Francia.

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