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Cultura

DISARMATI DA UNA RISATA

RENATA BALLERIO - 06/05/2022

lisistrataCome matassa, quando s’ingarbuglia, si prende e si dipana da una parte e dell’altra parte, così districheremo questa guerra…

Chi non vorrebbe avere la determinazione di Lisistrata per far terminare la guerra ed essere capace di pronunciare le sue sagge parole? Leggere le affermazioni della protagonista della commedia scritta nel 411 a.C da Aristofane è anche oggi, anzi soprattutto oggi, una dolorosa provocazione.

Non sarà un caso che alcuni gruppi di lettura, come quello della biblioteca di Induno Olona, si stiano confrontando con l’attualissimo testo greco. Non sarà un caso che a Bologna il 5 maggio, il giorno in cui morì il riformatore Napoleone, che portò guerre in tutta Europa, il docente di Letteratura greca Simone Beta ha presentato il suo libro intitolato “La donna che sconfisse la guerra”. Lisistrata, un nome non casuale, poiché rimanda etimologicamente a colei che scioglie gli eserciti.

Dai ricordi scolastici riaffiorano con forza le pagine della guerra del Peloponneso di Tucidide, in cui si rappresenta il grande scontro tra le due potenze, Sparta ed Atene, con Tebe che voleva di nuovo il suo ruolo: periodo politicamente drammatico in cui sciagure si susseguivano a sciagure. E tra i ricordi affiora la commedia di Aristofane, in cui Lisistrata fa appello alle donne di tutta la Grecia, Ateniesi, Spartane, Beote e Corinzie, di negarsi agli uomini, un vero e proprio sciopero del sesso, per ristabilire la pace.

Commedia quasi leggendaria, ma, per la paura della forza trasgressiva della sua comicità, dimenticata per secoli fino alla prima traduzione latina, a Venezia, nel 1538. Commedia che negli anni vide numerose traduzioni, e diverse interpretazioni, con fraintendimenti e forzature, a seconda del clima culturale: una leggera commedia musicale di Garinei e Giovannini del 1958, ben diversa da “Operazione: ramo di ulivo” del 1939 del cantautore americano Evan MacColl. Una commedia in cui Aristofane lancia i suoi dardi contro la guerra, quasi anticipando il famoso slogan degli anni Sessanta fate l’amore, non fate la guerra.

E a quei versi incalzanti ci sentiamo sempre vicini per il suo pacifismo ante litteram, per il coraggio di una donna che riesce a convincere altre donne, unite dal prezzo che stanno pagando a causa della lontananza dei mariti per colpa di estenuanti imprese militari, a trovare una soluzione all’assurdità della guerra, a non arrendersi alle critiche di vecchi, che non accettano le trasgressioni, a essere capaci – alla fine – di riappacificare anche giovani e anziani, a dare forza a chi tentenna…

Commedia scoppiettante, quasi pirotecnica per gli stratagemmi esilaranti, ricca di stimoli e di provocazioni, da leggere e rileggere per riflettere. A chi oggi è lacerato dall’angoscia per eventi inimmaginabili, stanco persino di sperare, e obietterà che la letteratura non dà soluzioni e che in questo 2022 c’è ben poco da ridere, si potrebbe rispondere che la comicità, quella autentica e universale, non solo ci regala il riso rigenerante ma anche la capacità di assumere altre prospettive…

E a questo non bisogna mai rinunciare, anche osando, come fece Lisitrata, l’inaudito. Le donne, spronate da Lisistrata, non solo decidono, faticosamente, di non accontentare i desideri maschili ma di occupare l’Acropoli di Atene, cuore del potere politico, religioso ed economico. È sorprendente rileggere in questi giorni un articolo pubblicato l’anno scorso su La Repubblica e intitolato, “Tremate, Lisistrata è tornata”. Si legge: “La Lisistrata è una commedia pacifista, certo. Perché il ribaltamento dei ruoli, l’ironica lucidità con cui la follia della guerra viene sbugiardata dalle donne ribelli, esprime una condanna molto più potente di mille sermoni”. E solo un anno fa noi non tremavamo per la guerra.

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