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Politica

NON CHIAMARLA PIÙ EMOZIONE

ROBERTO CECCHI - 10/06/2022

referendumDevo dire che la ricordo ancora, nettamente, la prima volta che sono andato a votare. Allora, la maggiore età erano i 21 anni, mi pare, e fu un’emozione. Mi tremavano le gambe mentre seguivo le ritualità dell’ingresso al seggio. La consegna del documento. Il ritiro delle schede con la matita. Quelle tendine fastidiose da scostare per entrare in cabina. Il momento di aprire le schede (quasi al buio) e cercare con una certa ansia il simbolo su cui tracciare la croce. Poi, la ritualità dell’inserimento della tua volontà all’interno dell’urna e l’annuncio del presidente di seggio che avevi assolto al tuo compito. Un’emozione forte, intensa, la sensazione netta di fare qualcosa di veramente importante. Un rito che si è ripetuto nel tempo e quasi mai il momento del voto è stato un momento qualunque. Anche quando si fecero i primi referendum. Indipendentemente dal merito della questione (e dall’esito del voto) sottoposta al giudizio della collettività, ricordo quei momenti come momenti fondanti, di vero entusiasmo partecipativo. Perché si sapeva, rispondendo a quei quesiti, di aver la possibilità concreta di scegliere veramente di cambiare certi modi del proprio vivere, in un senso o in un altro.

Non posso dire che adesso, per questa tornata referendaria, sia la stessa cosa. Indipendentemente dal fatto che da allora siano passati molti decenni e che, quindi, inevitabilmente, le emozioni si attenuino, non posso dire che i cinque quesiti cui siamo chiamati a rispondere suscitino particolari emozioni. Non che trattino questioni irrilevanti. Anzi. Ma sono mal posti, perché per ognuno di quei quesiti ci sono diverse alternative possibili e diventa davvero arduo, se non impossibile, rispondere con un sì o con un no. I padri costituenti vollero dei referendum abrogativi, per chiedere se si vuole o meno una certa legge esistente e, per questo, il quesito deve essere posto in maniera chiara, netta, come furono quelli su aborto, divorzio e nucleare. I costituenti vollero “lo strumento del referendum accanto a quello delle leggi di iniziativa popolare, come strumenti fondamentali per la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica”.

Quello di domenica prossima, invece, è un referendum che tocca diverse questioni, anche piuttosto complesse da comprendere. Basta rileggere i primi due quesiti per capire bene l’eterogeneità delle materie cui siamo chiamati a rispondere. Il primo riguarda l’“abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”. Il secondo la “limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art.274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale”. Addirittura, qui, in questo secondo caso, non si chiede l’abrogazione di una legge, ma semplicemente di un paio di parole di un articolo di legge, l’inciso di un comma. Davvero troppo per chiunque, per raccapezzarsi, figuriamoci per un cittadino qualunque che non abbia frequentato almeno i primi tre anni della facoltà di legge.

Gli stessi promotori della consultazione dubitano che si raggiungerà il quorum dell 50%+1 degli aventi diritto al voto che serve perché il referendum sia considerato valido. Puntano tuttavia a portare alle urne il maggior numero possibile di persone, in modo da poter dire di averci provato e per constatare che esiste un certo numero di italiani sensibile al problema e quindi, magari, da mobilitare. Non so se abbiano la consapevolezza che questo è il modo per ridurre definitivamente l’istituto referendario ad una semplice indagine di mercato. E non serve neanche sostenere, come si sente dire che, comunque vada, questo è il modo per spingere il Parlamento a darsi una mossa sulla riforma della giustizia, perché il Governo sta lavorando con gran fatica proprio su questo. Quindi, non c’è alcun bisogno di stimoli. In questo bailamme, comunque, di una cosa sono certo, stavolta il giorno del voto non mi emozionerò.

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