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Attualità

ACUTO, ATTENTO, PROFONDO

CLAUDIO PIOVANELLI - 17/06/2022

paul_mccartney18 giugno, Paul McCartney compie 80 anni. Non è mia intenzione “beatificare” l’ex Beatle, né analizzare l’opera di uno dei più grandi autori di musica melodica dei nostri giorni.

Premetto che considero la “produzione” di Paul McCartney con i Beatles assolutamente superiore rispetto a quella successiva in solo, sempre considerando la qualità nella quantità, anche se dal 1970 a oggi le perle, numerose, non sono mancate. Ma l’impulso ricevuto dalla prorompente creatività dei primi tempi e anche dalla competizione con Lennon, complice e “rivale” a livello compositivo, non trova riscontro nel periodo successivo alla separazione dei quattro di Liverpool.

Scelgo allora di focalizzarmi su un aspetto sicuramente molto marginale rispetto all’opera complessiva di sir Paul: uno dei mille particolari che mi aveva sorpreso, ragazzino, all’epoca dei Beatles e che continua a stupirmi a distanza di più di cinquant’anni. Non mi riferisco a McCartney musicista, bensì al paroliere, forse un po’ banale e scontato (come Lennon) nei suoi primi testi ma poi via via sempre più acuto, attento, profondo, a volte criptico ma sempre sorprendente.

Il dettaglio che intendo approfondire riguarda l’attenzione di un giovanissimo Paul rispetto alla vecchiaia, alla solitudine, alla morte, temi che assai raramente il mondo della musica pop osava e osa affrontare.

Il primo testo pubblicato di sir Paul che indaga questa tematica è “Eleanor Rigby”, registrato tra aprile e giugno del 1966. Eleanor è un’anziana signora sola che dà una mano al parroco (“Raccoglie il riso in chiesa dopo un matrimonio”). Il prete è Padre McKenzie, che “scrive un sermone che nessuno ascolterà” e “si rammenda i calzini la sera quando è solo”. Eleanor Rigby “muore e viene sepolta insieme al suo nome; nessuno è venuto”. Alla fine della solitaria, desolante cerimonia funebre Padre McKenzie “si pulisce le mani dalla terra allontanandosi dalla tomba”. Emblematico il ritornello che chiude anche la canzone: “All the lonely people, where do they all come from? All the lonely people, where do they all belong?” (“Tutta la gente sola, da dove viene? Tutta la gente sola, a chi appartiene?”).

Tutt’altra storia in “When I’m sixty-four” (“Quando avrò 64 anni”). Pare che McCartney abbia composto questa canzone, registrata nel dicembre 1966 e apparsa nel giugno 1967 in “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, quando aveva solo 16 anni. L’atmosfera musicale è vagamente vaudeville e il testo è sostanzialmente una divertente dichiarazione d’amore: lui scrive all’amata chiedendole se, quando lui avrà 64 anni, lei lo amerà ancora. Altre domande: mi regalerai sempre qualcosa per San Valentino? Cucinerai ancora per me? Dovessi rincasare alle tre meno un quarto chiuderai la porta col chiavistello? Poi alcune proposte: ti darei una mano riparando una valvola se dovesse mancare la luce, potresti confezionarmi un golf seduta vicino al camino, la domenica mattina andremmo in gita o pianteremmo fiori e strapperemmo un po’ di erbacce, ogni estate potremmo affittare un cottage sull’Isola di Wight (se non è troppo caro). Due le previsioni errate in questo testo giovanile: Paul canta “When a get older, losing my hair”, ma a 80 anni la sua chioma continua a fare bellissima mostra di sé. E poi parla dei nipotini Vera, Chuck e Dave ma nessuno dei suoi nipoti in realtà si chiama così…

C’è poi un testo, registrato nel marzo 1967 e, pare, scritto di getto dopo la lettura, pochi giorni prima, di una notizia sul “Daily Mirror”; McCartney affronta il tema del conflitto generazionale ponendosi anche nei panni dei genitori. Una ragazzina fugge di casa e la madre e il padre, disperati, si chiedono che cosa abbiano sbagliato: “Le abbiamo sacrificato quasi tutta la vita, non le abbiamo mai fatto mancare nulla, perché ci ha fatto questo, come ha potuto farci questo?”. Ma alla fine questi genitori concludono che “la gioia non si compra con il denaro”.

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