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Politica

UCRAINA NELL’UE

GIUSEPPE ADAMOLI - 23/06/2022

ucrainaMi sono sentito orgoglioso il 16 giugno quando abbiamo avuto conferma che Mario Draghi è stato il più convinto assertore dell’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea fra i tre leader di Germania, Francia e Italia che erano andati in treno a Kiev ad incontrare Zelensky.

Il punto di vista che si sia trattato solo di iniziativa di propaganda è privo di fondamento mentre è vero che abbia avuto un forte carico simbolico. In fondo qual è sempre stato il grande obiettivo dell’Ue, fin dalla sua nascita negli Anni cinquanta, se non di difendere la pace nei propri confini e di espanderla progressivamente?

E qual è il momento più giusto di dimostralo se non adesso quando l’Ucraina, aggredita dalla Russia, chiede lo “status di candidato all’Ue”? L’ultimo atto di allargamento dell’Europa fu, teniamolo in mente, quello con la Croazia nel 2013.

Questa linea si congiunge perfettamente con quella dell’anello più largo dei Paesi che stanno manifestando la stessa intenzione, dall’Albania alla Moldavia, con cui già intratteniamo dei rapporti di collaborazione. Il passaggio da “candidato” all’effettiva appartenenza all’Unione dei 27 richiederà anni, sarà complesso e non sappiamo come potrà finire. Il caso della Turchia, che era rimasta in stand-by per anni e anni è lì a ricordarcelo.

Le parole della Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sono chiare “L’Ucraina è una democrazia parlamentare molto solida. Ha già compiuto passi importanti per essere un’economia di mercato funzionale”. La Presidente ha però aggiunto: “Se molto è stato fatto, molto resta ancora da fare ad esempio sullo stato di diritto, la giustizia, la lotta alla corruzione e la rimozione del potere degli oligarchi sull’economia”.
Da questo angolo visuale, lo status di candidato equivarrà ad una forte spinta, ad un enorme incentivo verso una democrazia compiuta che il popolo ucraino ha già dolorosamente mostrato di voler abbracciare.

Con queste premesse era inevitabile il passaggio positivo di Draghi in Parlamento il 21 giugno sulla risoluzione pro Ucraina malgrado lo scontro finale fra Di Maio e Conte. Era ed è Indispensabile non mettere a repentaglio la reputazione e la saldezza dell’Italia nella sfera internazionale.

Putin, con il discorso alla Davos rossa di San Pietroburgo del 17 giugno, ha immaginato un mondo ancora diviso in sfere di influenza, come se fosse possibile una nuova Yalta, e non ha capito che l’Unione europea è un partner atlantico dotato di una sua autonomia politica. Un’altra cosa, ancora ancora più importante, non vuole intendere: gli Stati sovrani decidono loro stessi il proprio destino.

Se l’Ue vuole impersonare l’idea che l’apertura e l’integrazione fra i popoli e gli Stati sono superiori al nazionalismo guerrafondaio di Putin è tempo che questo messaggio sia percepito forte e chiaro in tutto il mondo.

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