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Storia

FUORICLASSE ANTICO E INTRAMONTABILE

CESARE CHIERICATI - 15/07/2022

alfredo-bindaGiovedì 11 agosto 2022 saranno centovent’anni dalla nascita di Alfredo Binda da Cittiglio.   Quando si congedò dalla vita, il 19 luglio 1986, ne aveva ottantaquattro. Tutti gli esperti concordano nell’affermare che fu un “unicum”, un atleta che nella prima metà del secolo scorso fece di colpo evolvere il ciclismo. Rivoluzionandolo. “Un campione moderno nato molti anni fa” scrisse Mario Fossati nel volume celebrativo del centenario pubblicato dall’Editoriale Giorgio Mondadori. Una valutazione, quella del grande inviato di ciclismo del Giorno e di Repubblica, che trova puntuale riscontro visitando a Cittiglio il Museo dedicato al campione. Si scopre la sua attenzione per l’alimentazione nelle varie fasi degli allenamenti e in corsa in base alle difficoltà dei percorsi. Il tutto annotato su piccoli quadernetti con una grafia nitida e precisa. Ne discuteva poi col medico condotto suo fidato consigliere. Altrettanta attenzione dedicava alla bicicletta, alla posizione del manubrio, all’elasticità della forcella, alla forma e alla posizione della sella. Il cambio era di là da venire. Insomma un autentico perfezionista. Madre natura lo aveva del resto dotato di un motore di una cilindrata mai vista prima sulle accidentate strade di Italia e di Francia dove il grande Alfredo era nato al ciclismo. A diciassette anni era infatti emigrato sulla Costa Azzurra per frequentare una scuola di disegno e di arte dello stucco che lo impegnava, insieme col fratello Primo, per quattro giorni la settimana. Bicicletta e musica erano invece gli svaghi del tempo libero. La sua prima vittoria, dopo aver preso confidenza con la bici e la partecipazione a qualche corsetta nizzarda, arrivò nel ’21 e poi fu un crescendo inarrestabile che preoccupò non poco le grandi firme ciclistiche dell’epoca, come Tano Belloni e Costante Girardengo, il campionissimo di Novi Ligure – l’altro sarà Coppi – vincitore di ben sei Milano – Sanremo. In carriera Binda collezionerà cinque Giri d’Italia, tre Campionati del mondo, due Milano -Sanremo, quattro Giri di Lombardia e un lungo rosario di altri successi su strada e in pista. Nel 1930 la Gazzetta delle Sport lo convinse a disertare il Giro in cambio di 22.500 lire dell’epoca, la cifra equivalente al premio finale previsto per il vincitore. Come dire esclusione per manifesta superiorità tecnica. Non è tuttavia possibile e storicamente corretto non ricordare come fin dai tempi dei suoi esordi in Francia, Alfredo Binda avesse stretto amicizia con un altro grande personaggio del ciclismo varesino, Antonio Ambrosetti detto Togn. Di qualche anno più anziano (classe 1897) si era anche lui fatto dal nulla. Orfano di padre, conobbe presto le difficoltà della vita. Per integrare il magro stipendio della Carrozzeria Macchi, a undici anni faceva lo strillone per La Gazzetta dello Sport. In quella insolita veste, celebrata in occasione del centenario della “rosea” nel 1996, divenne notissimo in città. La sua vita negli anni a venire si intrecciò saldamente con quella del quotidiano sportivo milanese grazie al suo innato talento manageriale ciclistico a livello nazionale e internazionale, talento costruito e affinato nell’autorimessa di sua proprietà di via Veratti, angolo via Broggi, nel centro di Varese a due passi dal mitico “piantone”. Fu quel garage l’amatissimo foyer delle sue molteplici attività. Lì furono gettate le basi della gara iridata varesina del 1951 in stretta collaborazione con il grande amico Binda e tanti altri generosi collaboratori. Tra i quali il giovanissimo figlio Alfredo, primogenito di Antonio, poi fondatore e leader di una società di consulenza nota a livello internazionale organizzatrice dei meeting di Cernobbio. Fu lui a consegnare alla stampa l’ordine d’arrivo del mondiale vinto dallo svizzero Ferdy Kùbler che in volata ebbe ragione di ben tre italiani: Magni, Minardi e Bevilacqua. Un esito che divenne un rammarico per Alfredo Binda, allora commissario tecnico della nazionale ciclistica. Il regolamento dell’UCI obbligava infatti i commissari a stare fermi ai box nelle adiacenze dell’arrivo e non sull’ammiraglia, quindi con scarse possibilità di incidere sulla condotta di gara dei loro atleti. Forse se il grande Alfredo fosse stato a bordo dell’ammiraglia avrebbe saputo convincere i tre italiani in fuga a fare gioco di squadra per imbrigliare l’astuto Kùbler. Le sue capacità diplomatiche erano del resto pari a quelle agonistiche. A rinverdire l’iride conquistato l’ultima volta nel 1932 dallo stesso Binda ci penseranno nel 1953, a Lugano, Fausto Coppi ed Ercole Baldini, cinque anni dopo, a Reims.

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