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Attualità

L’ORO DEL GIONA

SERGIO REDAELLI - 18/05/2012

“Riesce sempre vana la ricerca dell’oro nel greto del Giona. Risalendo il corso è più facile sorprendere il guizzo della trota iridea o scorgere il merlo acquaiolo muoversi sul fondo, o ancora osservare le damigelle, azzurre o verdi che dopo la muta, sgusciate dall’exuvia, distendono le ali al sole e si librano nell’aria all’improvviso. Per lenire la delusione il cercatore trattiene in pugno scaglie di muscovite, quasi fossero pepite di quell’oro di cui in paese da sempre si è favoleggiato. Sì, perché alla presenza d’oro nelle sabbie del torrente che separa i due Maccagno alluse l’Amoretti nel suo Viaggio ai tre laghi e alla credenza ha contributo anche Leopoldo Giampaolo con la leggenda del vecchio che passava le ore aggirandosi lungo il fiume e che un giorno improvvisamente scomparve. Nella casupola in cui viveva furono trovati piccoli sacchi di pelle di capra e sul loro fondo un po’ di polvere d’oro che si credette raccolto nel letto del torrente: dove esattamente nessuno lo seppe mai”.

Così poeticamente racconta Sergio Baroli, bibliofilo di Luino ne l’Oro del Giona, la plaquette dedicata a Carlo Rapp in occasione della mostra “Maccagno, un lago di luce, variazioni grafiche” che si è tenuta dal 28 aprile al 6 maggio al Punto d’Incontro di Maccagno (Francesco Nastro Editore, Germignaga). È un prezioso opuscolo che contiene la riproduzione di sedici opere del maestro, dedicate a Maccagno. Rapp, nato a Intra nel 1932, è l’eclettico artista che trova nel lago Maggiore la musa di una poliedrica produzione, disegni, incisioni, sculture in bronzo, marmo e pietra, vetrate istoriate, affreschi e crocifissi da chiesa, vedute su carta, a china, all’acquerello o incise al bulino e all’acquaforte. Un artista che sfugge alle facili definizioni con un passato di scenografo al Teatro Regio di Torino e la passione, in questi anni, per la fusione delle campane.

“La sosta a Maccagno e la risalita lungo il Giona fino all’Acquadolce alla ricerca dell’oro di cui aveva sentito parlare – spiega Baroli nella presentazione della mostra – ha rappresentato per il maestro uno sguardo dentro lo scrigno dei ricordi legati all’infanzia e ai diversi luoghi di lavoro situati sulla sponda magra, Luino, Mesenzana, Muceno, Montegrino. Immediato è il rimando alle fornaci della rocca di Caldé rievocata nel suo perduto biancore in una piccola acquaforte e soprattutto alla vetreria di Porto Valtravaglia alla quale era stato chiamato il nonno dall’Alsazia, il nonno maestro soffiatore. E alla memoria di Arrigo e Vittore Rapp è indirizzato il bozzetto Alba cistercense con il motivo di un volo di colombe”.

È lo stesso Rapp a confessare che “il lago è la mia patria, è il luogo dei miei padri, sul lago ho vissuto gli accadimenti più intensi che a qualsiasi uomo prima o poi tocca di vivere… e poi è uno dei luoghi più belli del mondo!”. A Intra, ha avuto i primi contatti con l’editore Alberti e sul lago navigò la crociera a bordo del Gabbiano, ispiratrice di vedute, compì l’excursus storico con Pierangelo Frigerio per il libro Aria di Lago e ancor prima, ebbe l’incontro con Piero Chiara (in realtà avvenuto nello studio milanese dell’editore Maestri), da cui nacque la reciproca stima e l’invito al contrappunto iconografico di alcune prose. “La mostra di Carlo Rapp a Maccagno – spiega Pierangelo Frigerio nella nota critica che chiude l’opuscolo – è la terza sul nostro tratto di riva, dopo quelle di Luino (1987 e 2009) e, appena al di là del confine, di Caslano (2010) e propone immagini del paesaggio che ci è caro e per la cui conservazione trepidiamo”.

“A Maccagno troviamo il bilancio di una lunga frequentazione… Sono luoghi, quelli del Luinese, in cui Rapp ha lasciato un buon numero di opere impegnative: nelle chiese di Luino (San Pietro, crocefisso in bronzo e legno, ambone in marmo), Muceno (San Giorgio, oculo e Madonna della sera, su vetro), Mesenzana (Santa Maria della Purificazione, vetrate, affresco dell’altare, rilievi in bronzo del portone d’ingresso, porta laterale, oasi di San Francesco), Montegrino (Sant’Ambrogio, vetrata absidale) e inoltre in giardini privati ove biancheggiano sue sculture. Complesse sono state le esperienze dello scultore e del maître verrier e dimostrano i vasti orizzonti dei suoi riferimenti culturali, nel ventaglio del Novecento, dal magistero nordico della vetrata istoriata agli scultori come Bistolfi-Wildt e, e all’estremo opposto, Moore”.

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