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Attualità

CAPITANI DELL’ANIMA

FABIO GANDINI - 16/09/2022

nicolo-maja1Il 4 maggio 2022 è stata una giornata dura, lunga, tramortente. Tale per chi in quella viuzza di Samarate, case attaccate, pace apparente, ci è andato e ci ha passato ore: i soccorritori che hanno rinvenuto l’orrore, le forze dell’ordine che hanno cercato di dargli delle coordinate, i giornalisti che hanno provato a raccontarlo.

Ma tale anche per tutti coloro che hanno posato almeno per un attimo la mente e il cuore su quanto apprendevano dai giornali. Chiedendo, senza risposta, al cielo il perché di un’altra illogica mattanza nella quale l’assassino si sporca del sangue del suo sangue. Castronno, Mesenzana, Rescaldina, Samarate: l’uscio della nostra abitazione, anche interiore, un’altra volta troppo vicino. E allora, come se già non fosse inaccettabile la morte di più bambini e giovani, ecco che tutto diventa ancora più pesante, più urgente, più pauroso. Più nostro. Qualcosa con cui fare i conti.

Il 4 maggio 2022 di Nicolò Maja è durato meno, molto meno. Si presume abbia purtroppo sentito, chissà se visto, il padre Alessandro uccidere mamma Stefania e sua sorella Giulia, mentre di certo ha riconosciuto quel genitore fuori di sé mentre si avventava su di lui con un cacciavite, risoluto a fargli fare la stessa, terribile fine delle due donne. Lo ha riconosciuto e ha lottato, Nicolò, mosso da un animale spirito di sopravvivenza nonostante l’identità della mano che lo stava colpendo: è per questo che è sopravvissuto.

Questione di attimi, in una mattina non ancora sbocciata: poi la perdita di conoscenza, l’arrivo dei paramedici, il trasporto in ospedale, il coma. E il buio.

Ci siamo dimenticati di lui. Non tutti, per fortuna, ma i più sì. Prima le cronache ci hanno trascinato a porre tutte le attenzioni sull’assassino, sui suoi trascorsi, sulla sua personalità, sulle dinamiche che lo hanno spinto all’insano gesto. Poi, come sempre, persino quando sembra impossibile, il tempo è trascorso e la nostra apprensione si è persa nelle mille ramificazioni della quotidianità.

Era il secondo pomeriggio di lunedì scorso quando dalle agenzie, che non sono solo parole ma anche immagini, ci è arrivato un pugno. Di quelli capaci di svegliarti per davvero. “Nicolò Maja è uscito dall’ospedale ed è stato ricevuto dal sindaco di Samarate, Enrico Puricelli” recitava la didascalia della foto, ritraente tre adulti in piedi (sono i due nonni e lo stesso primo cittadino) e un ragazzo seduto sulla sedia a rotelle. Sorridente.

Il pugno è quel sorriso. Il primo istinto è quello di chiederci da dove arrivi, come faccia a nascere su quel volto ancora fisicamente sofferente, cosa ci sia dietro. E la “ricerca”, guidata da una logica solo apparente, rischia di diventare morbosa: cosa avrà provato Nicolò in tutti questi mesi? Cosa ricorderà di quel traumatico e indicibile evento? Come farà ad andare avanti? Perché sorride?

Menomale che arriva il pugno, dopo. A zittire la nostra troppo facile coscienza. Quel sorriso è semplicemente la forza ancestrale che alcuni uomini hanno dentro di sé. La stessa forza che noi smarriamo talvolta per strada, dimenticandola persino come appiglio per uscire dalle piccole difficoltà, salvo ritrovarla improvvisamente nell’incedere di chi davanti, invece, ha una serie infinita di montagne da scalare.

“Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi sia la vita. Io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima”, William Ernest Henley. Caro Nicolò, questa poesia è per te…

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