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Attualità

JORGE E GIORGIA

SERGIO REDAELLI - 23/09/2022

Papa Francesco, Robert Sarah e Giorgia Meloni

Papa Francesco, Robert Sarah e Giorgia Meloni

Forte della stima di Camillo Ruini, l’ex presidente della Conferenza episcopale italiana che sponsorizzò i governi Berlusconi e simpatizza per Salvini, la leader di Fratelli d’Italia non ha un particolare feeling con papa Francesco: “Io ho seguito ogni pontefice ma non con lo stesso trasporto – confessa nell’autobiografia “Io sono Giorgia” – Sarà anche l’età, e la consapevolezza che si porta dietro, ma benché sia cattolica e non mi sia mai permessa di criticare un pontefice, ammetto che non sempre ho compreso papa Francesco. A volte mi sono sentita una pecorella smarrita e spero un giorno di avere il privilegio di parlare con lui”.

Sarà per questo sentirsi smarrita che Giorgia Meloni, ora che è candidata a governare, è alla ricerca di entrature dentro le mura leonine e – riferisce Repubblica – si è fatta ricevere in Vaticano dal cardinale in pensione Robert Sarah, voce critica nei confronti di papa Francesco e punto di riferimento dei cattolici conservatori, strenuo difensore della liturgia tradizionale. Il porporato africano è l’autore del libro “Dal profondo del nostro cuore” a difesa del celibato obbligatorio che uscì nel 2020 mentre Bergoglio preparava l’esortazione apostolica sull’Amazzonia aprendo alla possibilità di utilizzare i diaconi sposati nelle zone sperdute del pianeta, dove mancano i preti e i fedeli non possono confessarsi, fare la comunione e ricevere l’unzione degli infermi.

Un libro, lo ricorderete, a cui il papa emerito Benedetto XVI prima concesse e poi negò la condivisione rischiando di far esplodere un caso all’ombra del cupolone. Tra Jorge e Giorgia, comunque, i punti di convergenza non mancano. Di recente il papa si è espresso su un tema caro alla Meloni, la patria, affermando a proposito dell’aggressione russa all’Ucraina che “difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla patria. Chi difende ama”. Basterà per favorire un’amicizia? Il papa è spesso tirato per la mozzetta a destra e a manca, perennemente a rischio di essere mal giudicato e perfino equivocato, frainteso, travisato.

La sua condanna della guerra è senza appello e il pensiero su ciò che la politica dovrebbe fare è trasparente: “La pace è possibile se tacciono le armi e incomincia il dialogo – ha dichiarato ai cronisti di ritorno dal viaggio in Kazakistan – È l’ora di evitare l’accentuarsi di rivalità e il rafforzamento di blocchi contrapposti. Abbiamo bisogno di leader che, a livello internazionale, permettano ai popoli di comprendersi e dialogare, e generino un nuovo “spirito di Helsinki” per la sicurezza e la cooperazione in Europa, la volontà di rafforzare il multilateralismo, di costruire un mondo più stabile e pacifico”.

Servono, servirebbero, statisti di alto livello perché, secondo il papa, “per ottenere la pace ci vuole creatività”. Gente come Henry Kissinger, suggerisce qualcuno, che condusse le trattative per la cessazione della guerra in Vietnam e fu insignito del Nobel per la pace (al netto delle pesanti interferenze nel golpe cileno nel 1973). La voce del papa è alternativa al “partito della guerra” e distingue tra ciò che è morale e ciò che è politico: “L’invio di armi da parte dell’Occidente è una decisione politica che può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere armi o di scartare armi che non servono più. La motivazione – conclude Francesco – qualifica la moralità dell’atto”.

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