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Editoriale

COMPETIZIONE

MASSIMO LODI - 21/10/2022

politiciNon si capisce cosa vi sia di sconvolgente se chi vince un’elezione mette le personalità ritenute ad hoc nei ruoli chiave. Di governo e istituzionali. Certo, per quest’ultimi dovrebbe valere la regola dell’osservanza d’un riguardo alle minoranze. Ma se la consuetudine afferma il principio contrario -game, set, partita: intero bottino ai conquistatori del favore popolare- ha zero senso dolersene quando a prevalere sono gli avversari. La destra si tiene i presidenti di Camera e Senato al modo usato dalla sinistra, le eccezioni del passato restano eccezioni. Quanto a nomi, identità, partigianerie eccetera, la storia insegna che -assurti al primo scranno di Montecitorio e Palazzo Madama- i prescelti mutano pelle. Consapevoli del rango, vi si adeguano, svolgendo con imparzialità il compito assegnatogli. Le cariche della Repubblica trasmettono lo spirito repubblicano a chiunque le assuma. Perciò finiamola qui, e buon lavoro a La Russa e Fontana.

Quanto al governo, vale il principio di realtà. Ovvero: gl’italiani han premiato la Meloni, la Meloni ha premiato la sua coalizione, la sua coalizione ha premiato le figure giudicate acconce. Vediamole alla prova, al netto delle preclusioni ideologiche. Così funziona la democrazia, così funziona la civiltà dello Stato laico, così funziona il mood liberale. Altro appartiene solo a una stantìa retorica della sconfitta. Piuttosto è augurabile che -dato il momento di sofferenza, triboli e angosce- s’accenda un’armonia nazionale attorno a scelte decisive per le sorti di tutti. Non si chiama consociativismo, e invece senso di responsabilità. Lo promuova la premier, l’assecondino anche quelli non della sua parte. In certi casi, per alcuni obiettivi, senza omologare le differenze.

Se ci vogliamo salvare dell’abisso, urge che i barricadieri d’un tempo soffochino le tonalità sovraniste; e che i conservatori fattisi radicali dismettano l’assedio quotidiano a un esecutivo non ancora nato. Dalla Meloni ci si attende continuità di linea internazionale/economica rispetto al predecessore, dagli avversari la critica costruttiva che mancò tra i partiti sostenitori di Draghi. Non scordiamolo: il governo cadde per mano dei soci di maggioranza Conte, Berlusconi e Salvini. Un errore utile, si spera, a non commetterne d’eguali.

L’opposizione ha la ventura di mostrarsi migliore di quando fu maggioranza. Non è indispensabile che sia unita, come insiste a pretendere Letta. È importante che le sue diverse componenti si diano da fare con alacrità pratica: individuino gli sbagli, li denuncino, suggeriscano le correzioni, dimostrino di giorno in giorno d’esser affidabili -quando e se verrà quello dell’avvicendamento- più dei rivali. È dalla competizione che viene il massimo. E la competizione non è solo prima del voto, lo è specialmente dopo. Rimboccatevi le maniche, lì dentro i palazzi del potere, ovunque vi siate accomodati: sui velluti più pregiati, sulle stoffe meno nobili. Bisogna correre, ciascuno nella sua corsia, ma lungo la stessa pista.

ps

Varese ha il ministro di maggior importanza nel nuovo governo. Giancarlo Giorgetti è un politico di lungo corso, vanta titoli di merito nel settore economico, darà un seguito coerente all’impegno profuso nell’esecutivo Draghi. La Meloni, dopo il rifiuto d’un paio di tecnici d’alto rango, non poteva fare scelta migliore. Giorgetti -non a caso sostenuto dal suo predecessore al Mef, Daniele Franco- è la garanzia più solida agli occhi dell’Europa e lo scudo più affidabile verso le intemerate di Salvini. Che non mancheranno. Ma il figlio del pescatore di Cazzago Brabbia sa quali pesci pigliare e quali no, quand’è il caso.

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