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Politica

CARISSIMI PRESIDENTI

MASSIMO LODI - 11/11/2022

presidentiMartedì prossimo, 15 novembre, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella verrà in visita a Varese. Sarà alle 11 all’Università dell’Insubria, per l’apertura dell’anno accademico, e alle 12 al Palaghiaccio, per l’inaugurazione. Lunedì 21 marzo 2011 fu la volta di Giorgio Napolitano, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. La città visse una giornata di grande festa, eccone un ricordo dalle cronache di allora. È curioso notare come gli elogi di allora per Napolitano siano trasferibili oggi a Mattarella: la ricerca di figure in cui riconoscersi continua, e talvolta ottiene l’esito sperato.

Gli avevano detto ch’eravamo un po’ svizzeri, per via della continguità geografica: freddi e distaccati. E invece gli abbiamo dimostrato d’essere un po’ napoletani. Un po’ come lui. Come il nostro Presidente. Incapaci di sopire l’affetto e l’entusiasmo, felici d’esternarli tutt’e due. Lui ne è rimasto sorpreso. Non perché non ci giudicasse portatori d’affetto ed entusiasmo. Ma perché non pensava che l’affetto e l’entusiasmo fossero di tale spessore. E poi, l’allegria. L’allegria (roba da non credere) del Nord, che di solito viene dipinto come intristito e grigio. Lauraà e daneé, tutto il resto non importa. E invece no. Lauraà e daneé servono per vivere, ma non si prendono tutta la vita. Tutta la vita se la prende la gioia di viverla per davvero, e ieri Varese ha espresso fino in fondo questa gioia. Al di là dell’immaginabile, e senza bisogno di scomodare le esagerazioni della retorica. Varese ha davvero abbracciato Giorgio Napolitano: idealmente e fisicamente. La folla che l’aspettava davanti al Comune, all’Università, alla Camera di commercio ha fatto perdere tempo al Presidente con le sue premure patriottiche, e lui l’ha perduto volentieri. Ha ritardato entrate e uscite nei palazzi delle istituzioni, ma era il minimo che potesse fare per non uscire dall’anima civile dei varesini che gliel’avevano fiduciosamente aperta.

Pareva che non aspettassero altro, i varesini. Che non aspettassero altro che l’occasione per manifestare di quale sentimento nazionale sono impastati. Un sentimento di amore per la bandiera, di omaggio per la storia, di rispetto per la più alta carica dello Stato. Alta non solo perché alta nella gerarchia fissata dalla Costituzione. Alta perché percepita come tale. E ancora più alta perché raffrontata con le bassure e le bassezze e i bassifondi della quotidianità politica. S’è capito ieri (forse altri, avendone avuta prima di noi l’occasione diretta, l’avevano capito da un pezzo) quanto ci manchino il prestigio, la credibilità, il carisma, addirittura il fascino delle figure di riferimento istituzionale. Li cerchiamo da molte parti, il prestigio e tutto il resto: non li troviamo, e per fortuna e grazia di Dio li scopriamo in quest’uomo con il quale ci pare d’essere imparentati per via di quel suo essere severo e semplice, autorevole e familiare, saggio ed arguto, rassicurante e innovatore. Un uomo convinto che il futuro lo si debba costruire senza rinnegare il passato: e nella visita di ieri, lo ha voluto chiaramente ricordare. Insieme con l’apprezzamento per i nostri numerosi talenti, l’ammirazione per l’industriosità del nostro territorio, la condivisione d’alcune nostre inquietudini. La gente che l’ha atteso a lungo fuori delle sedi dei diversi poteri locali, non sapeva che cosa egli stesse qui e là dicendo. Ma era come se lo sapesse, come se l’avesse sempre saputo. E gli ha tributato una serie d’ovazioni, intuendo la vicinanza d’un Presidente lontano solo nella forma prevista dal rapporto tra governati e governanti. Non certo nella sostanza del rapporto di comunanza tra abitanti del medesimo Paese. Dentro un’empatia così naturale e allegra, han finito per trovare sobria ammortizzazione anche alcune naturali (naturali nel senso di prevedibili) antipatie, esibite a suon di fischi e motteggi verso il sindaco e il leghismo. La leggerezza della nostra festa italiana è volta sopra ogni grevità.

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