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Chiesa

L’AVVENTO

EDOARDO ZIN - 18/11/2022

vedrannoApro le imposte rigate dalla pioggia. Novembre s’inoltra tra il grigiore della nebbia verso l’inverno e tra una nuvola e un’altra un sottile raggio di sole viene a indorare l’icona che ho sullo scrittoio. Ho freddo e mi ammantello con la vestaglia. Davanti a me il computer con lo schermo ancora bianco. È lunedì e devo scrivere il mio compitino che il direttore attende. Di che cosa parlerò? Sono uomo di questo tempo e mi crogiolo sui drammi, sulle sciagure, sulle speranze di oggi.

Potrei ribadire il mio pensiero sui rave party, sull’odiosa selezione dei migranti a bordo di navi “pirate”. Mi vergogno di dare spazio alle tante tragedie su cui è più apprezzabile tacere che provocare le eterne diatribe. Potrei inchiodare con argomentazioni chi gongola di fronte alla cattiveria umana invocando le applicazioni formalistiche delle regole, ma dovrei sorbirmi le solite, inutili polemiche. Potrei esporre con la chiarezza delle norme la revisione del trattato di Dublino che consentirebbe un’equa ricollocazione dei migranti, se questo progetto, che gli stessi partiti oggi esigono, non fosse stato per anni da essi stessi rifiutato. Vorrei soprattutto dire ad un ministro che ciò che lui chiama “carico residuale” il Vangelo lo definisce “prossimo tuo”.

Perché non scrivere sull’inumanità della guerra tra Occidente e Russia e invocare subito una trattativa di pace? No, ormai siamo tutti assuefatti alle notizie di Paesi distrutti e di uomini macellati dalle bombe. No, ormai siamo troppo catalogati tra coloro che vogliono la pace ad ogni costo e chi vuole la vittoria finale con le armi. È meglio il silenzio, non quello codardo, ma quello inflessibile che è resistenza alla barbarie.

Potrei parlare dell’Europa. Non di quella economica dove ci si scambia beni e ricchezze e le nazioni si scannano per avere ognuna la propria quota di uomini e donne da mettere ai posti di comando, ma di quella Patria comune fondata sulla riconciliazione, sulla solidarietà, sull’audacia di mettere assieme lingue, storie, culture tutte diverse, affratellate per avere un’Europa unita e prospera: l’animo dei politici d’oggi è divenuto freddo davanti a questa sfida per la pace.

E perché non dico niente sui dibattiti televisivi, sui talk-show, sulle dispute, sugli annunci che non avranno seguito, veri e propri campionari della menzogna fatti a misura per la pancia e non per la ragione di coloro che attendono la conferma non della verità, ma dell’ideologia?

Il mio sguardo cade sul foglietto che riporta il Vangelo di Matteo così bene spiegato domenica dal “don” in chiesa. Sono parole che incutano paura, che risuonano inquietanti ai miei orecchi. Dio verrà per la seconda volta… Ma quando? In quale modo? Verrà quando la natura si risveglia e ci racconta la gioia di vivere o quando si stabilirà il nudo infreddolito degli alberi? Il “don” ha spiegato che quelle parole, al contrario, ci rassicurano che Lui si rivela nell’insieme dei fatti d’oggi.

Mi assale un senso di paura e di tristezza, mentre sento che tutto crolla, che la malvagità si diffonde, che le sofferenze e il dolore hanno il sopravvento. Il “don” mi tutela perché Gesù ha detto quelle parole per rassicurarmi, per dirmi che non sono abbandonato da Lui e che un giorno “comparirà in cielo e lo vedremo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria”.

Sono io che devo vivere attenderlo, col mio carico d’anni, saperlo leggere nei segni dei tempi, cogliere le occasioni mancate. Forse la storia è un’astuzia di Dio: se ne serve per mettermi alla prova. Vorrei che la sua presenza fosse palese e invece è misteriosa, nascosta, silenziosa. Non c’è una sfasatura tra la sua presenza come non c’è tra chi opera per la pace e il bimbo morto di ipotermia tra le braccia della madre. Tutto può diventare nuovo a patto che io lavori per preparare la sua venuta. Ho bisogno solo di non lasciarmi turlupinare dai falsi profeti, di essere manipolato da chi si presenta come il salvatore, l’uomo forte, quasi fosse un Dio. Occorre che alzi la testa, che sia rinvigorito, che rifletti sulla buona novella che mi rigenera: è l’attesa dell’Avvento, verso cui mi protendo…

 

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