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Sport

GIGANTOGRAFIA DI UN CAMPIONE

FABIO GANDINI - 25/11/2022

rivaArriva a Varese Nel Nostro cielo un Rombo di Tuono”, il film diretto da Riccardo Milani sulla vita di Gigi Riva, uno dei più grandi calciatori italiani di tutti i tempi. Dopo la “prima” di Cagliari il 7 novembre scorso, giorno del 78esimo compleanno dell’ex campione, la pellicola verrà proiettata al Multisala Impero Varese lunedì 28 novembre alle ore 20.30.

Ad accompagnare il film un vero e proprio evento, presentato da Claudio Ferretti, che vedrà in sala anche gli amici d’infanzia leggiunesi, oltre agli ex calciatori Vito De Lorentiis, Gabriele Andena, Ernestino Ramella, Silvio Papini, Chicco Prato e Ambrogio Borghi. Durante la serata ci sarà un collegamento con la casa di Cagliari, dalla quale interverrà il figlio di Riva.

Nelle righe che seguono RMFonline vuole omaggiare un Gigi Riva che non è di tutti, ma solo “nostro”, solo di questa terra incastonata tra mondi e laghi, perché di essa ha sempre portato in dote una sostanza priva di fronzoli e la fedeltà ai punti cardinali dell’esistenza.

Ciò che ci porta al cuore di Rombo di Tuono è un racconto del nostro direttore Max Lodi.

Era l’estate dei Mondiali di Messico 1970, Italia Germania 4-3, la partita del secolo, il sogno sportivo che passa da un tubo catodico.

Ed era una mattina di luglio, un caldo boia, soprattutto sulla sponda magra del lago Maggiore. Io e il fotografo di Prealpina Mario Broggini eravamo partiti da Varese in direzione Leggiuno, con destinazione casa di Gigi Riva. L’obiettivo era semplice e ambizioso insieme: regalare a Rombo di Tuono una gigantografia, preparata proprio da Mario, che lo ritraeva – vestito della maglia bianca crociata di rossoblù del Cagliari – al Franco Ossola, con la curva nord alle spalle e sul volto la fierezza per aver espugnato Masnago con un rotondo 1-6 (2° giornata del campionato 68-69, l’anno prima dello scudetto).

La spedizione – metà cronistica e metà tifosa – arriva davanti all’abitazione del campione e suona il campanello. Attimi di attesa, spezzati infine da un rumore di finestra che si apre dietro persiane che invece rimangono chiuse e da una voce gutturale che, senza giri di parole, ci invita a girare i tacchi.

Non demordiamo: Broggini prende coraggio e spiega il motivo della visita. Le sue parole fanno centro, perché Riva – dopo aver guardato ancora una volta circospetto verso di noi – finalmente scende e ci apre. Gli consegniamo il presente e l’occasione, imperdibile, vale anche per quattro chiacchiere, tra le quali spunta una fatidica domanda: «Gigi, è vero che passi alla Juve?».

I giornali sportivi, in effetti, non parlavano d’altro dopo aver narrato la Coppa del Mondo centroamericana: Agnelli aveva puntato tutte le sue fiches sul centroavanti leggiunese fresco di titolo italiano con il suo Cagliari. Non ricordo altro di quanto Rombo di tuono disse quel giorno, ma la sua risposta alla curiosità succitata mi è rimasta impressa: «Io non mi muovo da due posti, da qui e da Cagliari…». E così, effettivamente, andò.

Ci rivedemmo, stavolta con un pizzico di casualità, una ventina di anni dopo. Riva era diventato l’accompagnatore della nazionale italiana, guidata al tempo da Arrigo Sacchi, il quale, al suo fianco, aveva voluto anche Pietro Carmignani, ex portiere toscano di origine e varesino di elezione grazie alla sua parentesi agonistica con i biancorossi.

Mi legava – e mi lega tuttora – a Pietro una bella amicizia: fu allora naturale andarlo a trovare in un momento in cui gli azzurri soggiornavano in ritiro all’Hotel Palace di colle Campigli.

Siamo nella hall a parlare e vediamo spuntare Gigi. Mi ripresento, convinto non solo che ignorasse la mia identità ma anche l’episodio di quattro lustri prima. E invece no: «Conservo ancora la gigantografia a casa, mi è molto cara» mi disse.

Fedeltà, riserbo, attenzione, scelte che non tornano indietro: questo era ed è Rombo di Tuono. Un figlio della nostra terra, poche chiacchiere, zero forma, tutta sostanza, da ammirare non solo in quel senso incredibile dell’anticipo e in quelle sassate imprendibili dai 30 metri che bucavano le mani ai portiere e che fecero grandi il Cagliari, la Sardegna e l’Italia intera, ma anche nei suoi tratti caratteriali così fragranti, così graniticamente puri, così varesini.

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