Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Sport

ELETTROTRENO ROSA

CESARE CHIERICATI - 09/12/2022

baldiniDall’ultima gradinata del Velodromo Vigorelli si vedeva distintamente via Arona in fondo alla quale si materializzavano le sagome dei corridori impegnati nelle ultime pedalate del Trofeo Baracchi, splendida corsa a cronometro a coppie tra Milano e Bergamo, cento chilometri da macinare letteralmente con il cuore in gola, il 4 novembre di ogni anno. Quella era l’edizione del 1957. Lo speaker della pista annunciava a scalare il tempo entro cui Fausto Coppi ed Ercole Baldini avrebbero dovuto entrare sui legni del velodromo per poter vincere il duello che fin dalla partenza li vedeva impegnati contro la formidabile coppia francese composta da Jacques Anquetil e Dedé Darrigade. Un tormento.

Quando in fondo a via Arona apparvero finalmente il vecchio campionissimo, trent’otto anni appena compiuti e il poderoso ragazzo di Forlì, un piccolo signore seduto accanto a me cominciò a ripetere urlando ossessivamente: “ L’è scià, al vegn, l’è scià”. Un delirio di entusiasmo incontenibile riferito a Coppi che ancora una volta, grazie a Baldini, aveva respinto il tempo. Vinsero per una manciata di secondi. Di fatto fu un cambio della guardia, quel successo sanciva il passaggio del testimone tra due generazioni di atleti. Coppi colse nella circostanza l’ultimo grande successo della sua strepitosa carriera.

Baldini, morto il primo dicembre scorso, ne raccoglieva ufficialmente il testimone. In verità il ragazzo di Villanova di Forlì, classe 1933, si era affacciato proprio in quell’anno al mondo del professionismo dopo aver messo in cascina già due imprese strepitose compiute da dilettante: la vittoria olimpica su strada ai Giochi di Melbourne del ’56 e alla fine dello stesso anno aveva demolito il record assoluto dell’ora detenuto dal fuoriclasse normanno Anquetil che a sua volta l’aveva strappato a Coppi, primato che aveva resistito per ben quattordici anni. Magistralmente diretto da un “mago del ciclismo” come l’allora commissario tecnico Giovanni Proietti, Baldini chiarì subito di che pasta fosse fatto aggiudicandosi il campionato italiano (Giro del Lazio a cronometro), il Giro di Romagna e, come detto, il Baracchi.

Benissimo era andato anche al suo primo Giro d’Italia: terzo alla spalle di Gastone Nencini che vincerà anche il Tour del’60 e di Louison Bobet (tre Tour consecutivi). L’italico pedale aveva dunque trovato un nuovo numero uno che tale si confermò nel Giro successivo, quello del 1958. A consacrarlo tale fu la seconda tappa, una cronometro, tra Varese e Comerio di 26 chilometri. Era dal 1949 che la corsa rosa mancava dalla città giardino.

La carovana riapprodò sulle colline prealpine per rendere omaggio a Giovanni Borghi che, in simbiosi con il suo impero industriale, stava costruendo una multinazionale dello sport impreziosita da una squadra ciclistica che aveva nel formidabile velocista spagnolo Miguel Poblet un leader di livello internazionale. Per scendere sulle allora anguste strade del lago gli organizzatori scelsero di far affrontare ai corridori il passaggio sull’attuale via Campigli che all’epoca era un’esile stradina sommariamente asfaltata, tra abeti e faggi, ma con traffico rigorosamente limitato ai pochi residenti delle ville storiche. Con un gruppo di amici, a scuole chiuse e in un clima di mitica attesa, vedemmo transitare tutti i campioni sopra citati più un nuovo pericolosissimo belga, Federico Brankart, che a Milano sarà secondo. Baldini dominò la crono e si vestì di rosa, ma la tappa capolavoro fu quella di Boscochiesanuova dove mise in fila tutti i rivali più titolati per poi confermarsi nella successiva tappa dolomitica Levico – Bolzano. Tre mesi dopo andrà a conquistare anche i mondiali di Reims al termine di un fuga solitaria di 50 chilometri. Contro il tempo era diventato l’anti Anquétil per eccellenza impegnandolo sempre a fondo nelle avvincenti prove che concludevano le stagioni agonistiche.

Ercole vinse quattro volte il Trofeo Tendicollo Universal di Forlì che gli valse il soprannome di “elettrotreno”, tre volte il Baracchi (la prima come detto con Coppi, le altre due con Aldo Moser fratello maggiore di Francesco), una volta il leggendario Gran Premio della Nazioni di Parigi e il classico Gran Premio Campari di Lugano. Anni brucianti e indimenticabili. La stella di Ercole comincio però troppo presto a perdere lucentezza; nel 64’, a soli 31 anni la decisione di chiudere con le corse, non certo con il ciclismo di cui fu per decenni dirigente avveduto e misurato protagonista.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login