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Cultura

IPERTEMPO POETICO

RENATA BALLERIO - 16/12/2022

Maria Luisa Spaziani

Maria Luisa Spaziani

La tentazione è forte: scomodare i dialoghi leopardiani delle Operette Morali per costruire una riflessioncella dicembrina. Dialoghi – come abbiamo imparato – quasi surreali, di irraggiungibile profondità filosofica e, appunto, morale, intesa nel suo significato di comportamenti autentici verso la vita.

A noi, invece, basta una modesta immaginazione per far dialogare – in un mero gioco di scrittura – due personaggi di cui si sarebbe dovuto celebrare con maggior attenzione, rispetto a quanto è la loro storia, il centenario della nascita.

Maria Luisa Spaziani nata il 7 dicembre del 1922 e Peter Kolosimo il 15 dicembre dello stesso anno. Un dialogo davvero impossibile perché – a parte la coincidenza anagrafica – non hanno nulla in comune. Farli dialogare in quel “ipertempo” cantato dalla poetessa è non solo impossibile e, forse, irriverente ma anche una vera e propria provocazione. Anzi sfida da “sponde smemoranti” per usare una bellissima espressione della Spaziani.

Quasi sicuramente si troverebbero, comunque, d’accordo su alcune questioni: lei, poetessa che ha attraversato il Novecento, proposta per il Nobel, intellettuale dal respiro europeo, avrebbe riflettuto sulla debole gratitudine mediatica verso i suoi versi di limpida precisione, mai zavorrati da artifici retorici; lui, osteggiato forse giustamente da molti accademici per i suoi romanzi, venduti in tutto il mondo, dalla Russia al Giappone, che trattavano con innegabile forza narrativa la cosiddetta archeologia misteriosa, con la quale si ipotizzava la visita sul nostro pianeta di astronauti extraterrestri, fondatori di civiltà scomparse, su quanto sia una bolla di sapone ogni successo e momento di gloria.

Come questo centenario abbastanza in sordina lo dimostra. Certamente i devoti alla poesia, come il nostro Silvio Raffo estimatore della Spaziani, continuano ad apprezzare Maria Luisa, musa di Montale che le dedicò, definendola anche volpe, molti versi e alla quale scrisse durante la loro “amicizia affettuosa” e intellettuale oltre trecento lettere, hanno riletto in questi giorni le sue poesie.

Così pure gli appassionati del genere “lanciato” con tanto successo da Peter (da leggere rigorosamente alla tedesca e non all’inglese) si sono ritrovati a Bolzano, città in cui lui, modenese, visse per anni, per ricordarlo. E l’avranno ricordato coloro che, giovani negli anni Sessanta-Settanta, furono calamitati dalle avventure di Odissea stellare o del Pianeta sconosciuto.

Le avventure umane di Maria Luisa e di Pete sono davvero antitetiche. Di lei, benestante, sappiamo tutto sommato poco di come visse gli anni della sua generazione, a parte il fatto che diresse a solo diciannove anni una rivista, mentre di Kolosimo, figlio un carabiniere calabrese, il cui vero cognome era Colosimi, conosciamo, pur con ombre mai del tutto dissipate, il suo aver aderito ai partigiani titini, comunista ma con forti tensioni spirituali.

Lei docente per necessità dopo la crisi economica che colpì l’azienda paterna ma appassionata dell’insegnamento, lui amante del suo impegno giornalistico e di divulgatore, come fece presentando persino raccontini comico-ironici all’Umanitaria di Milano. Insomma due grandi personaggi, certamente singolari e accomunati – questo è certo- da un ‘immensa cultura linguistica: lei traduttrice, soprattutto, dal francese, lui laureato in filologia tedesca a Bonn.

Vale la pena non dimenticarli perché, pur così diversi, ci fanno riflettere – e non solo in questo dicembre del loro anniversario – che la scienza non dà tutte le risposte ma che la poesia cerca sempre le domande che ci fanno sentire umani. E certi versi di Maria Luisa, come ibernati, incoscienti, inesistenti, proveniamo da infiniti deserti, avrebbero commosso Peter Kolosimo che scrisse di fiori spaziali e del mondo assetato di mistero, secondo le parole di Roberto Gervaso in un bell’articolo pubblicato su Il Corriere della Sera del 12 dicembre del 1972.

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