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Chiesa

AMATO E RIMPIANTO

SERGIO REDAELLI - 05/01/2023

due-papiCon la morte del papa emerito scompare un punto di riferimento del mondo cattolico, ma non la corrente di pensiero che si riconosce nella difesa a oltranza della tradizione. Molto amato e rimpianto (“il mio papa preferito”, dicono tanti fedeli), Benedetto XVI non abdicò – con la rinuncia dell’11 febbraio 2013 – al diritto di parola sui grandi temi dell’esistenza umana e della fede, rigoroso sul celibato dei preti obbligatorio, sicuro nell’indicare le cause del collasso morale della Chiesa nella rivoluzione sessuale del ’68, pronto a difendersi dall’accusa di non aver vigilato quand’era arcivescovo in Baviera sui casi di pedofilia che egli stesso definì “sporcizia nella Chiesa”.

Dopo la rinuncia, il Vicario che ha vissuto 9 anni da emerito e 8 da regnante non smise di indossare la talare bianca simbolo distintivo del pontificato e di farsi chiamare Santo Padre, di firmarsi Benedictus XVI Papa Emeritus e di scrivere libri rischiando di sovrapporsi alla voce di Francesco; finendo per scontentare chi avrebbe preferito svestisse il “bianco papale” ed evitasse di insegnare ai fedeli per non ingenerare confusione, per non apparire come il papa a latere e farsi imprigionare nel ruolo di chi difende la tradizione contro l’innovazione, l’ortodossia contro il pragmatismo, il dogmatismo contro l’apostolato di strada. Alimentando maldicenze e speculazioni sul futuro conclave.

“Un fedele servitore del Vangelo e della Chiesa” lo ha definito in questi giorni Francesco che, in occasioni informali, ha sempre parlato di lui come di un “nonno”, di una persona saggia con cui confidarsi. Caro alla gente per i modi timidi e gentili, mite, ma deciso. Ritenuto innocente vittima di losche manovre ai tempi di Vatileaks, le carte papali rubate dal maggiordomo con lo strascico del sospetto di un ricatto e l’ipotizzata influenza sulla rinuncia. Un teologo sapiente paragonato a Sant’Agostino, sostenitore del dialogo tra fede e ragione, ma indiziato di intolleranza da ebrei e musulmani e demolito da Hans Küng, l’allievo ribelle che lo accusava di aver portato indietro la Chiesa. Colpito alle spalle dallo scandalo finanziario dello Ior. Fragile di fronte al peso di reggere il ruolo.

Ratzinger è stato vissuto dai cattolici come l’affidabile guardiano dell’ortodossia, adorato come Pio XII che proclamò Venerabile irritando la comunità ebraica. Tra lui e Bergoglio ci sono stati numerosi incontri pubblici e privati, i rapporti caratterizzati da grande cordialità a dimostrazione che la Chiesa è unita, anche se al suo interno possono esistere sensibilità diverse. Eppure la tesi del conflitto tra i “due papi” ha avvelenato i nove anni che l’emerito ha trascorso nel monastero Mater Ecclesiae, fomentata dalla curia più conservatrice e da una parte della stampa giunta a ipotizzare l’esistenza di due Chiese separate.

Allusioni, voci, malignità. In alcune descrizioni Benedetto appariva ridotto ad eremita e il convento in cui alloggiava un luogo pio e silenzioso contrapposto alla corte dei maneggi, Santa Marta, dove Francesco vive. Resistenze a capire l’azione filantropica di Francesco, la Chiesa pragmatica che aiuta i poveri, che promuove la solidarietà sociale e religiosa? Ad accettare il papa che riforma la curia e cambia le regole? Morto Ratzinger, chi ieri lamentava i rischi del conflitto tra i due papi ora preconizza attacchi più diretti e violenti dai nemici di Francesco, come se finora non lo fossero stati. Certo la situazione è difficile e i problemi della Chiesa restano tra crisi delle vocazioni, drastico calo dei fedeli e aumento dei giovani che non credono.

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