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Sport

PICCOLO È BELLISSIMO

FABIO GANDINI - 05/01/2023

la-montanaraDa sempre la scrittura ha un’aspirazione alla tridimensionalità e alla multisensorialità che le altre arti riescono più facilmente a scansare. Un compito non facile, peraltro, anche nel caso di specie: si tratta di usare le parole per permettere al lettore di ricostruire nella sua mente uno scenario, completo di ogni particolare, compresi quelli emozionali.

Ci proviamo. Siamo a Davos, nel centro della Svizzera. E siamo all’interno di uno stadio del ghiaccio, un gioiellino fatto ad arena con le tribune verticali attaccate alla pista, i seggiolini tutti vicini e le eleganti volte di legno a chiudere i quattro lati e il cielo. Le immagini spaziano sul campo da gioco, corrono da una parte e dell’altra senza soluzione di continuità: sulle stesse parlano due voci inglesi, anzi canadesi, che commentano le fasi finali della partita in corso.

A un certo punto si zittiscono, quasi bruscamente, come se avvertissero il dovere di lasciare spazio a suoni più regali e attesi, talmente imperdibili da essere percepiti nella loro importanza anche a un oceano (culturale oltre che geografico) di distanza. La telecamere si fermano su un muro di tifosi agghindati di bianco e di blu, attaccati l’uno all’altro tanto da ipotizzare possano essere almeno duemila in uno spazio avvezzo a contenerne la metà. Nel religioso silenzio creato dai telecronisti parte un coro: “… la montanara ohe… si sente cantare… cantiam la montanara e chi non la sa?”.

Migliaia di corde vocali lo ripetono una, due, tre, fino a quattro volte. Poi scatta un applauso, cui si unisce tutto il resto dello stadio. Quindi riecco i canadesi, con la favella incrinata dalla commozione: «… Non abbiamo mai visto una cosa del genere nell’hockey…».

E se lo dicono i maestri dello sport di dischetti e bastoni, beh… c’è da credergli. È così che la “Montanara” è entrata nel salotto di milioni di persone in tutto il mondo, a raccontare una favola che non conosce mai l’ultima riga e nemmeno ha bisogno di trofei conquistati – come quella Spengler Cup, una sorta di Mondiale a inviti dell’hockey, alzata pochi giorni fa proprio a Davos – per essere definita tale.

Quello dell’Ambrì-Piotta è del resto più un miracolo che una favola, un prodigio di passione e unicità iniziato nel 1937 dove le montagne della Val Leventina si avvicinano sempre di più, fino a toccarsi – poco lontano – grazie alla barriera naturale del Gottardo. Ambrì e Piotta sono due frazioni del Comune di Quinto: sommate insieme contano si è no 600 abitanti. Meno di un paesino, insomma, con aspirazioni sportive che dovrebbero essere confinate a scontri tra oratori, palestre scalcinate e parenti non paganti in funzione di spettatori.

E invece no. Ma proprio no. L’Ambrì è una delle più celebri e amate realtà hockeistiche rosso-crociate, ha vinto una coppa di Svizzera e quattro coppe internazionali, partecipando a ben 53 campionati nazionali di Serie A. La sua casa fino allo scorso anno è stata la Valascia, un paradiso di tradizione e orgoglio per i fan leventini, un inferno sceso in terra per gli avversari: qui – su una pista che fino agli anni 70 vedeva il colore del cielo sopra di sé (ma questo non scoraggiava nessuno…) – a ogni partita arrivavano in 6000 cristiani, gli stessi che riempiono ora la Nuova Valascia, impianto del ghiaccio sorto grazie a investimenti pubblici e privati insieme e tra i meglio attrezzati del continente.

Seimila spettatori a partita: in tutto il Ticino non esiste niente di simile, nessuno sport richiama la medesima partecipazione popolare, capace di trasformarsi in autentici spettacoli di tifo come quelli sopra descritti. E anche a Varese l’Ambrì ha tanti estimatori, bambini cresciuti in cerca di fiabe anche oltre confine.

Anche loro hanno imparato la Montanara, un inno, una rivendicazione delle proprie origini e di quella fragrante semplicità arrivata sul tetto del mondo, una risposta – diventata simbolo, stemma, cuore pulsante – agli sfottò dei tifosi del Lugano, con cui a queste latitudini si combattono accesissimi e mai scontati derby.

Montanari sì, ma campioni.

P.S: Se questo articolo non è stato in grado di fare fino in fondo il proprio dovere, poco male. Vi rimandiamo a Google o a YouTube. Parole chiave “Ambrì” “Valascia” “Spengler Cup”, “la Montanara”: cercate e vi verranno i brividi.

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