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Attualità

IO C’ERO

GIOIA GENTILE - 13/01/2023

salmaMi sono chiesta per giorni se effettivamente fossero tutti fedeli devoti coloro che aspettavano ore per poter entrare nella Basilica di San Pietro e sfilare davanti alla salma di Benedetto XVI. Mi immedesimavo nel defunto: se fossi stata al suo posto, mi avrebbe fatto piacere sapere che la mia debolezza, il mio corpo consumato dalla malattia fossero esposti allo sguardo di tanti estranei, senza che io potessi fare niente per proteggermi, come avrei fatto da vivo? Non una parola rassicurante, non un sorriso che velassero la mia fragilità? La salma – qualunque salma – è nuda e indifesa sotto gli occhi di chi ancora è vivo e può indossare la maschera del cordoglio anche se non lo sente.

Poi, però, mi dicevo che non ho il diritto di giudicare, che non è giusto fare il processo alle intenzioni: come è naturale dare l’ultimo saluto ad un familiare o ad un amico, così probabilmente era naturale per quelle persone recarsi a rendere omaggio ad un Papa che forse avevano amato – anche se mi riesce difficile non considerarla una forma di feticismo che niente ha a che vedere con la fede, un modo per esorcizzare le paure e le angosce che la morte suscita, come si fa con i talismani e con gli amuleti.

Comunque continuavo a dubitare che fossero tutti animati da un tale sentimento – in fondo umanamente comprensibile – e a sospettare che le motivazioni fossero più superficiali. Ed ecco, a confermare il mio malevolo pensiero, la candida affermazione di un intervistato durante non so più quale TG: “Sono qui perché un giorno potrò dire ai miei figli e ai miei nipoti: io c’ero”. Il motivo della presenza sua – e di chissà quanti altri – non era il rispetto per il defunto o la fede religiosa, ma l’affermazione di sé, del proprio essere vivo, tanto da immaginare addirittura i propri discendenti attenti ad ascoltare le sue memorie.

Ad ascoltare soltanto o forse anche a vedere? Qualcuno potrebbe aver avuto il coraggio di scattarsi anche un selfie davanti alla salma del Pontefice? Il sospetto è nato vedendo le immagini di altre esequie, che si sono svolte negli stessi giorni con una minore risonanza mediatica ma con una partecipazione popolare ancora maggiore, scomposta e chiassosa: quelle di Pelé. Ha fatto il giro del mondo – per fortuna criticata da molti – l’immagine di Gianni Infantino, presidente della FIFA, che si scatta un selfie davanti al corpo imbalsamato del calciatore.

Non volevo credere che fosse accaduto anche davanti al Papa. Invece, cercando nel web, pur non avendo trovato immagini che lo documentino, ho scoperto che la maggior parte delle persone che entravano nella Basilica di San Pietro era munita di fotocamere, cellulari e selfie stick, che le chiacchiere e le risate risuonavano tra le navate coprendo le preghiere – i cellulari aperti sulla fotocamera frontale, pronta a scattare nel momento in cui si intravedeva il corpo del Pontefice. Per costoro il feticcio non è l’immagine del defunto, da custodire nella memoria, ma il proprio Io, fissato nell’effimero di una realtà virtuale. Spariti il rispetto, la discrezione, la contemplazione del mistero, la pietas.

Che dire? Mi ritrovo senza parole e impotente. Forse appartengo davvero, come ebbe a dire un’amica, all’ultima generazione dell’Ottocento. Mi resta solo la speranza che sia numerosa la schiera di coloro che amano cercare il senso profondo delle cose e che possa influenzare positivamente, col tempo, anche questi ineffabili individui.

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