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Fisica/Mente

SPERANZA E DUBBI

MARIO CARLETTI - 13/01/2023

farmacoNella storia della medicina vi sono diversi casi in cui una malattia ha preso il nome dal medico che l’ha scoperta e che l’ha personalmente colpito.

È successo anche per la demenza denominata Alzheimer proprio dal nome di Alois Alzheimer il neurologo tedesco che nel 1907 ne descrisse per primo sintomi ed aspetti neuropatologici.

Durante l’autopsia di una donna morta per una malattia mentale insolita, il medico vide delle lesioni specifiche e particolari del tessuto cerebrale.

Notò delle formazioni, successivamente definite placche amiloidi, fasci di fibre contorte, avvolgimenti intricati e confusi neurofibrillari, tutte alterazioni tessutali non comuni.

Oggi queste placche e questi avvolgimenti sono considerati gli effetti anatomici della patologia, le cui cause nonostante tutti questi anni, non sono ancora note.

Ecco perché la recente notizia dell’approvazione di un nuovo farmaco da parte della FDA (autorità americana Food and Drug Administration) per questa malattia, ha creato grande clamore.

Ora già in fase di approvazione, vale la pena ricordare, che la commissione indipendente dell’agenzia ed altri esperti/specialisti della malattia, hanno opposto resistenza a questa approvazione ritenendo che attualmente non ci siano prove sufficienti che il nuovo farmaco abbia successo sulla patologia.

Si tratta di una iniezione endovenosa da praticare mensilmente che rallenterebbe il declino cognitivo, soprattutto nelle primissime fasi, della malattia.

A corollario di questa notizia vale la pena ricordare come un editoriale su JAMA (una delle riviste mediche più accreditate) uscito nel 2018, abbia censito ben 400 fallimenti di test clinici sull’uomo di potenziali terapie, tutte proposte delle più grandi multinazionali del settore farmacologico ovviamente molto interessate al potenziale mercato ancora vergine.

In un primo momento anche l’attuale farmaco proposto, Adacanumab, era stato bocciato, ma poi un successivo approfondimento nell’interpretazione dei dati, ha riaperto le porte al suo utilizzo.

La sua azione sarebbe efficace su uno dei diversi killer attivi in questa malattia, la proteina beta-amiloide che poi sarebbe responsabile delle successive micro emorragie cerebrali. Il suo utilizzo è quindi indicato in chi ha evidenziato, con risonanze magnetiche cerebrali, la presenza di depositi di questa proteina.

Questa malattia colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni (in Italia si stimano circa mezzo milione di ammalati) ed è la forma più comune di demenza senile (anche se ormai alla demenza in generale si associa sempre questo nome). Le alterazioni cerebrali che la caratterizzano purtroppo portano il paziente ad avere grandi difficoltà ad affrontare le normali attività quotidiane.

Colpisce infatti memoria, funzioni cognitive in generale con limitazioni della parola, del pensare, stati di confusione, disorientamento spazio temporale e cambiamenti repentini di umore.

La malattia ha un inizio subdolo come il semplice dimenticare di alcune cose ma poi può arrivare in progressione al punto di non riconoscere più i famigliari e ad avere bisogno di aiuto per svolgere le più semplici attività quotidiane.

Il decorso è lento, i pazienti possono vivere anche una decina di anni dopo la diagnosi, ma i deficit cognitivi di acuiscono e progrediscono nel tempo peggiorando la qualità della vita del paziente, fino ad arrivare a mettere a rischio l’incolumità personale, l’igiene od anche la semplice nutrizione.

La diagnosi definitiva si fa con l’identificazione delle placche amiloidi mentre in una fase iniziale può essere individuata una possibilità o probabilità di malattia in base ai soli sintomi.

Con questo obbiettivo possono quindi essere somministrati test neuropsicologici per misurare memoria, attenzione, capacità di risolvere problemi ed anche test clinici (sangue, urine, liquido spinale) o strumentali (tac, rnm, etc) utili anche ad escludere altre patologie.

Per quanto riguarda le terapie, oggi sono utilizzati spesso farmaci che inibiscono l’enzima che distrugge l’acetilcolina, nel tentativo di tenere più alto possibile il livello di questo importante messaggero del sistema nervoso.

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