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Cultura

CRISI D’IDENTITÀ NELL’ERA GLOBALE

ROMOLO VITELLI - 26/05/2012

Edgar Degas, La famiglia Bellelli, 1858-1869

La grave crisi politica, economica, sociale, culturale del nostro Paese sta avendo pesanti ripercussioni sulla famiglia che vive oggi un profondo disagio esistenziale e una mutazione antropologica che la sta trasformando così come la conoscevamo fino a ieri. Del resto il fenomeno investe l’Italia così come tutte le società dell’Occidente, come si può vedere dalla citazione che segue di Jonathan Rowe, tratta da “Amore liquido,” di Zygmunt Bauman, un libro prezioso per capire la società in cui viviamo, che descrive plasticamente l’anomala situazione della famiglia post moderna americana, alla fine del secondo millennio: “Negli ultimi anni del Novecento, in pieno boom dell’alta tecnologia, trascorsi molto tempo in una caffetteria situata nel quartiere dei teatri a San Francisco […]. Lì ebbi modo di osservare una scena ripetersi infinite volte. Mamma prepara la macchina del caffè. I bambini, seduti con i piedi ciondoloni, mangiucchiano la loro brioche. E poi c’è papà, leggermente proteso all’indietro rispetto al tavolo, che parla al cellulare[…] Pensavamo di star vivendo una “rivoluzione delle comunicazioni,” ed ecco che, all’epicentro tecnologico, i membri di questa famiglia evitavano di guardarsi negli occhi”.

Il quadro nitido di solitudine, d’assenza di calore emozionale, d’incomunicabilità, che traspare dalla descrizione della famiglia americana, tratteggiato dal quadretto di Jonathan Rowe, richiama alla mia mente, per certi aspetti, e fatte le dovute distinzioni d’obbligo, l’atmosfera e il clima d’inquietudine del famoso quadro di E. Degas: La famiglia Bellelli; e non è dissimile dalle situazioni che ciascuno di noi può osservare nelle realtà di tutti i giorni delle nostre metropoli nazionali. Ma ciò che induce ulteriormente alla riflessione è il commento che il sociologo polacco Zygmunt Bauman aggiunge alla citazione di J. Rowe:“Due anni dopo”- dice Z. Bauman – “Rowe avrebbe probabilmente visto quattro cellulari in funzione intorno al tavolo. I cellulari non avrebbero impedito alla mamma di occuparsi della sua macchina del caffè, né ai bambini di mangiare la loro brioche. Ma avrebbero reso a tutti superfluo lo sforzo di evitare lo sguardo degli altri: gli occhi si sarebbero comunque trasformati in muri bianchi, e un muro bianco posto di fronte a un altro muro bianco non provoca alcun danno. Con un po’ di tempo a disposizione, i cellulari avrebbero addestrato gli occhi a guardare senza vedere”. Che cosa ci dicono le due citazioni di Rowe e Bauman? Che anche quando la famiglia rimane integra i progetti e la comunicazione non si intrecciano più nello scambio intergenerazionale come per secoli è accaduto, ma si sviluppano a livello individuale   e i componenti famigliari, ognuno per proprio conto, come monadi, si occupano dei propri interessi immediati particolari. Ma il crescente sviluppo tecnologico multimediale odierno, che ha continuato ad investire vertiginosamente la società moderna, ci presenta un quadro di ulteriore frammentazione e crisi del relazioni e dei rapporti famigliari. Scrive a tal proposito Paolo Crepet su “L’Autorità perduta”: “Il The New York Times del 29 aprile 2011 ha pubblicato un articolo in cui veniva descritta la famiglia newyorchese della dirigente di un’industria cosmetica, dove la donna, il marito e i figli di otto e dieci anni erano quotidianamente applicati ciascuno su una differente apparecchiatura tecnologica: dall’iPad al computer portatile, dalla consolle dei videogiochi al televisore multiscreen. Una famiglia, una stanza, quattro schermi e quattro realtà diverse”. La famiglia era tutta fra quelle  quattro mura, ma non comunicava. Una parcellizzazione come quella indotta dalle nuove tecnologie non era stata resa possibile nemmeno dalla guerra. L’eco della provocazione del “N.Y. T. è arrivata anche da noi ma con scarsa rilevanza, ed è stata subito archiviata come se la nostra realtà, diversamente dagli americani, non avesse avvertito il pericolo”.La ragione? L’esperienza decennale di incontri con le famiglie nelle diverse province italiane fa dire allo  psicologo P.Crepet -“ Quello che viviamo non è il frutto di errori di percorso o involuzioni impreviste, ma di una straordinaria mutazione antropologica, che coinvolge la famiglia, i giovani, le loro culture, l’intera comunità. Purtroppo mi sono accorto che nessuno si occupa della mutazione antropologica in atto, che va capita, seguita e accompagnata”. Eppure seguita Crepet, un recente rapporto del Censis conferma la crescita delle nuove tecnologie nel nostro paese. E’ probabile che nei confronti delle nuove tecnologie comunicative siamo ancora dei neofiti, al punto di non intuirne le contraddizioni né di essere in grado di riflettere sugli effetti di questa invasione della quotidianità che  ab­bassa vertiginosamente la qualità della relazione famigliare, fino a lasciar intravedere la fine della sua matrice emotiva. Secondo una ricerca fatta in Gran Bretagna – dice P. Crepet – in “Sfamiglia”- le famiglie d’oggi passano insieme non più di 45 minuti al giorno, quelle dove i genitori sembrano arrendersi, concedere tutto ai figli per paura di sentirsi rifiutati o solo per senso di colpa. Il mestiere di genitore è un mestiere difficile e oggi lo è ancora di più. Troppi genitori cercano “scorciatoie,” evitano punizioni e correzioni, non vogliono “inimicarsi” i loro figli, rinunciando così alla loro funzione di guida e di educatori. Ma anche la scuola senza mezzi e depotenziata è un’agenzia in crisi che non riesce ad assolvere alla funzione della formazione di uomini e cittadini responsabili. Come se ne esce? Nell’economia di questa mia riflessione mi limiterò a dire, che bisognerebbe considerare – come dice il Cardinale Bagnasco –in vista del VII incontro delle famiglie – “il valore della famiglia come caposaldo fondamentale della società civile. Un Paese non può pensare al suo futuro se non si pensa “in famiglia”. A tal proposito i genitori dovrebbero fare uno sforzo per ritrovare le ragioni dello stare insieme con i propri congiunti, almeno il sabato e la domenica, ripensando, pur nella freneticità dei ritmi d’oggi, le modalità di ascolto e di comunicazione. Ma è necessario  soprattutto investire di più su famiglia e scuola.

“Barack Obama – conclude  Crepet – ha inserito nella sua squadra una signora che è la più grande esperta di educazione Usa. Gordon Brown ha tenuto una conferenza dicendo che ci sono due modi per uscire dalla crisi: uno, stupido, consiste nel mettere una toppa, con interventi immediati che distribuiscano solo un po’ di soldi qua e là; l’altro, più intelligente, consiste nel trovare risorse per l’educazione”.

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