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Apologie Paradossali

CRISTIANI ASSENTEISTI

COSTANTE PORTATADINO - 27/01/2023

segre(O) Mi ha stupito e preoccupato il giudizio di Liliana Segre nell’intervista pubblicata martedì dal Corriere di martedì scorso: «So cosa dice la gente del Giorno della Memoria: “basta con questi ebrei, che cosa noiosa”». Se lo metto in relazione con quello, già da noi segnalato, di D’Avenia, sul Natale e in generale sul cristianesimo (“Il Natale ha lo stesso problema del cristianesimo: diventa una noia quando smette di dare vita.”) mi viene una seria preoccupazione: non sarà solo un problema di comunicazione, ma piuttosto una ben più grave deriva culturale, l’abbandono della memoria come sorgente di azione nel presente e quindi di vita?

(C) «Il pericolo all’oblio c’è sempre», ha detto Segre alla presentazione della «Giornata della Memoria», che sarà il prossimo 27 gennaio, «una come me certo non si accontenta, è pessimista e ritiene che tra qualche anno ci sarà una riga sui libri di storia e poi non ci sarà nemmeno più quella».

Sempre dal Corriere, dal supplemento culturale La Lettura, ci interroga il commento di Marco Ventura, già noto ai nostri lettori, in merito al dato diffuso dall’Istat sulla frequentazione degli Italiani ai luoghi di culto, ricavato da un campione vasto, di decine di migliaia di interviste. “Nel 2002 quasi 4 italiani su dieci si recavano in un luogo di culto almeno una volta la settimana, mentre solo uno su dieci non ci andava mai. Oggi i primi sono ridotti alla metà, solo 2 su 10, e dal 2018 sono stati superati da chi non va mai in chiesa, ormai tre italiani su dieci, il doppio percentualmente rispetto a vent’anni fa”. Questo il dato. Ventura osserva: “ripensiamo di conseguenza le distinzioni e le categorie fino a comprendere che l’assiduità in chiesa non va confusa con la fede e nemmeno con la religiosità. Dio non sta morendo, in realtà, e i credenti non si stanno estinguendo. Cambiano, piuttosto, l’uno e gli altri. Di certo non sono più quelli di una volta, quelli che si incontravano la domenica in chiesa per la messa, in forma popolare, di massa. Posto che siano davvero esistiti come li immaginiamo, quel Dio e quei credenti davvero non esistono più”.

(O) Domandiamoci: cosa vuol dire VITA per cristiani ed ebrei, forse più in generale per tutte le religioni? Non solo partecipare al culto. Non conta più la maggioranza della tradizione, ma la minoranza attiva e consapevole. Ma c’è una ragione che li ha allontanati e c’è una relazione che possiamo stabilire con quella maggioranza “assenteista”? Senza voler fare proseliti e riconoscendo il danno fatto da molti cattivi esempi e le difficoltà di comunicazione (anche per il Papa prediche che superano i dieci minuti sono insopportabili), come rompere il rifugio nel privato degli assenteisti religiosi?

(C) La risposta è la stessa per i cristiani e per gli ebrei, per i quali forse la frequenza al culto settimanale è ancora minore che per i cristiani. Consiste nel riconoscere quanto la fede sia decisiva per vivere una vita piena e felice e nel manifestarlo, senza presunzione, umilmente, in tutte le relazioni sociali.

(S) Capisco come questa prospettiva sia più facile per i cristiani, che annunciano la risurrezione come origine della fede, ma per gli ebrei è molto più difficile, dopo la Shoah.

(O) Eppure, l’esperienza del dolore e della desolazione, non solo ci è comune, ma da loro è stata vissuta più intensamente: parlo dell’esilio e dell’esperienza delle persecuzioni in epoca ellenistica, che sono stato il modello della fede dei martiri cristiani sotto gli imperatori pagani. Mi sentirei di dire a Liliana Segre che una memoria puramente fattuale, che non si appoggi su fede e speranza (non necessariamente cristiane) non solo non può affascinare le nuove generazioni, ma si spegne inevitabilmente nella storia. Di qui il compito comune: fare delle proprie radici religiose una esperienza concreta e presente, non una dolente nostalgia.

(C) Occorre anche una risposta alle conclusioni di Ventura: verissimo che la fede non consiste nella presenza di massa al culto domenicale e tanto meno nella rilevanza sociale e politica della medesima “massa”, tanto temuta ancor oggi dal potere secolare, ma per i cristiani l’essere Chiesa è molto più che un culto formale, è partecipare allo stesso corpo di Cristo, Dio-uomo. Potrà sembrare strano, ma è questa la ragione per cui la riduzione della religione a fatto privato è dannosa anche più per la società civile e politica che per la religione stessa.

(O) Onirio Desti (C) Costante (S) Sebastiano Conformi

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