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Lettera da Roma

OTTO FIGLI, NELLA CAPITALE

PAOLO CREMONESI - 26/05/2012

“Un anno per trovare casa”. Cristina, bionda e torinese, Mauro,  baffo nero e sorriso cordiale, sono all’apparenza una coppia come le tante che incontri per Roma. L’unica peculiarità che distingue i Bazzani dalle altre famiglie è il numero dei figli: otto. “A volte per strada ci guardano con malcelata ironia” continua Cristina “e uno ci ha domandato se eravamo rom”.

L’odissea è cominciata quando la casa dove vivevano in affitto al quartiere Talenti è stata messa in vendita dal proprietario. ”Dovevamo cambiare appartamento“ racconta Mauro. “Cose che capitano”. La ricerca era ovviamente indirizzata a una casa di grandi proporzioni, un immobile non facile da trovare soprattutto in un momento di crisi del mercato, com’è quello attuale. “Ma – prosegue Cristina – per noi è cominciato l’incubo. Oltre agli annunci che già di per sé escludevano a monte le famiglie numerose, ogni volta si ripeteva la stessa storia: tutto bene sino a quando non ci chiedevano quanti eravamo in famiglia…”.

“Due volte – incalza Mauro – siamo arrivati alla firma del contratto, ma all’ultimo momento il proprietario si è tirato indietro”. Ora i Bazzani hanno finalmente trovato una casa nei pressi di Pineta Sacchetti, un proprietario disposto a non fare discriminazioni. Cristina e Mauro sono diventati tra i responsabili romani dell’Associazione Famiglie Numerose. Già perché oggi in Italia le coppie con più di tre figli devono far sentire la propria voce, proprio come chi difende i panda o chi è preoccupato per le sorti della foca monaca.

“Discriminazione è il termine giusto” puntualizza l’assessore di Roma alle politiche familiari Gialuigi De Palo. “Come se non si capisse che fare un figlio oggi è un servizio che si fa alla società, altrimenti destinata alla morte”. Eppure proprio la Costituzione all’articolo 29 riconosce “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” e all’articolo 31 scrive : “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose”.

A Roma nelle famiglie numerose (qui la media è di 2,2 persone a nucleo) vivono centottantamila persone: una cittadina lombarda di medie proporzioni. Tirare su i figli nella capitale è una battaglia quotidiana. Amministratori e politici a chiacchiere stanno a mille, a fatti meno. Alla prima occasione ti diranno che si applica il quoziente familiare sulla base dell’ISEE, ma l’ISEE è uno strumento fermo a vent’anni fa (basti pensare che considera il terzo figlio pari a 0,35, meno di una persona e  che utilizza gli obsoleti strumenti di rilevazione  fiscale per cui chi paga è il reddito fisso mentre il furbetto la fa franca).

Un esempio? Chi  è portatore unico di reddito dipendente e padre di cinque figli, come il sottoscritto, accede per tutti i servizi alle aliquote  di tassazione massima. Gas, telefono, luce: tutto è pagato moltiplicato per sette. Allo Stato, Regione, Comune che in famiglia a portare un reddito medio-alto sia una persona sola non interessa nulla. I figli pagano le iscrizioni  piene all’Università, per mangiare alla mensa sborsano quattro euro  e ora – novità delle ultime settimane – spariscono gli abbonamenti mensili agevolati per studenti dei trasporti locali: il servizio sarà calcolato su base annua anche questo con l’ISEE.

Certo c’è Regione e Regione (ha ragione Vedani proprio su questo giornale a considerare l’operato di un politico sulla base di ciò che fa) ma sono certo che anche in occasione dell’incontro di Milano avremo la tradizionale passerella di politici nazionali che ci ricorderanno l’importanza della famiglia. A loro va però ricordato che oggi in Italia avere più di tre figli è una fatica che non conosce altra ricompensa che non sia quella affettiva e morale.  Il resto sono solo chiacchiere.

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