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Chiesa

SCOMODO

SERGIO REDAELLI - 17/03/2023

vaticano“Si governa con la testa, non con le ginocchia”, si sforza ancora di sorridere Francesco a chi gli chiede se pensa di dimettersi per le difficoltà deambulatorie che lo costringono a usare la carrozzina. Alla boa dei dieci anni dall’elezione al soglio, il 13 marzo 2013, Bergoglio è costretto a smentire, senza riuscire a spegnere, le insinuanti voci messe in giro da chi vorrebbe un altro al suo posto. E sono in tanti a volerlo. Carrieristi di curia, alti prelati ultra-tradizionalisti americani, cardinali iper-innovatori tedeschi e potenti vari del pianeta non amano il pontefice ambientalista, pacifista, vicino ai poveri e alle periferie del mondo, nemico giurato del neoliberismo economico e per questo tacciato di populismo e di marxismo.

Un papa scomodo. Dieci anni di impegno profuso per promuovere una Chiesa diversa vengono ripagati con l’ostilità più degli uomini di religione che dei laici. I detrattori lo accusano di avere scambiato la religione cattolica per sociologia con la pretesa, espressa già nel 2013, di considerare la Chiesa un ospedale da campo contro le diseguaglianze e la marginalità. E lo combattono con ogni mezzo, lo sospettano di aver collaborato con il regime dei generali e di avere coperto casi di pedofilia in Argentina, lo ritengono responsabile di eresia dottrinale, non riconoscono le dimissioni del predecessore Joseph Ratzinger e lo considerano in qualche modo un usurpatore.

La gran parte dei laici vede invece in lui lo spirito dell’altro Francesco, quello di Assisi, che abbandonò ricchezze, lusso e avidità per diffondere valori umani alternativi. Condivide l’immagine di una Chiesa che pratichi la filantropia, il dialogo e l’ospitalità, che diffonda la fratellanza e la solidarietà sociale, che non escluda nuove forze e idee religiose, che valorizzi il ruolo femminile e non si trinceri dentro il dogmatismo. L’apertura ai preti sposati, per esempio, potrebbe portare più vocazioni. Una Chiesa ispirata alle figure di Gesù combattente e di Francesco santo degli ultimi.

Chi lo stima pensa che egli affronti la complessità del mondo con la chiarezza e la semplicità del Vangelo. Paterno, non autoritario, nel senso latino di paternitas, padre di tutti. Lo ritiene un punto di riferimento morale, un capo di Stato etico per il quale la politica e la fede devono collaborare senza essere la stampella una dell’altra. Quando era in Argentina, dopo l’attentato alle Torri Gemelle nel 2001, sentenziò profetico che era iniziata la terza guerra mondiale a capitoli. I fatti gli hanno dato ragione. Contro la guerra in Ucraina, in Congo o in Afghanistan solo la ricerca della pace può fare il miracolo di unire i nemici. Pronto ad andare a Mosca e parlare con Putin.

Chi lo apprezza, infine, considera Francesco un mix di moralismo politico dei gesuiti e di profezia francescana. Approva l’idea che l’economia che si nutre di profitto, di competitività e disuguaglianza non può fare che danno. Ammira la disponibilità ad accogliere tutti, a dialogare, a mediare, ad aprire le porte del Sinodo alle donne e agli uomini, tutti importanti e necessari per le sorti dell’umanità. Lo ritiene sincero, limpido e aperto. Pronto, dopo dieci anni, ad affrontare le sfide della curia divisa, delle finanze dissestate, dei seminari vuoti, della piaga della pedofilia. Refrattario alla logica rassegnata del “si è sempre fatto così”.

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