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Editoriale

UTER ALLES

MASSIMO LODI - 24/03/2023

coppiaQuesta (vecchia) storia dell’utero in affitto non ha targhe politiche. Ha una targa, una sola, sentimentale, culturale, sociale, eccetera. Aggiungetevi la qualifica preferita. Non si tratta d’essere destri o sinistri, cattolici o laici, bacchettoni o àlapagisti (alla moda/al costume contemporanei). Si tratta d’essere ascoltatori della voce d’umanità dentro di noi. Una voce che rifiuta di tradurre con significato comprensibile l’espressione utero in affitto. Proprio non ce la fa. Obietta a capirne la naturalità. Perché la naturalità risulta estranea a un tale artifizio, a una simile pratica.

Dunque, al netto d’un discorsone qui escluso dall’inadeguatezza di chi scrive, va testimoniato con umile riguardo che la storia dell’utero in affitto confligge, semplicemente confligge, con la nostra storia. Storia di uomini e donne, storia ancestrale, storia memorabile, storia d’eredità familiari, storia d’intimismo emozionale, sedimentatasi in un modo di pensare/di agire. E pesa, e giganteggia, e s’impone su qualunque aggiornamento trimillenario, egoistico, avventuroso (sventurato?).

Breviter: il problema non è regolamentare i diritti dei bambini figli di coppie del medesimo sesso, e non solo (viva il rispetto d’ogni prerogativa di chiunque, a cose fatte e realtà vigente). Il problema è aspettarsi da coppie del medesimo sesso, e non solo, tanta generosità verso sé stesse e gli altri da non sacrificare il futuro d’ignare vite al presente del loro desiderio/sogno. Se vuoi un figlio, e non riesci a procrearlo, apri il tuo cuore all’adozione. Compirai un gesto di grandiosa fratellanza. Accompagnerai nel tortuoso percorso esistenziale il piccolo disperato di turno. Darai esempio di spirito evangelico, che non è roba solo religiosa: è roba che va oltre, appartiene alla comunità laica, alle sue radici, al suo anelito all’esser buoni tanto più è cattivo il mondo, alla sua aspirazione a rendere eguali i diversi. Cioè gli sfortunati, i derelitti, gli orfani d’un qualsiasi affetto.

Perciò, prima che discutere d’una legge, bisogna discutere d’una forma mentis. Quella che non privilegia nobilanimo, amore per il prossimo, attenzione ai terz’ultimi, ai penultimi, agli ultimi. Quella che privilegia i primi. Il primo. L’uno che è dentro alcuni di noi/molti di loro. Loro che vogliono e che possono e che devono. L’esatto contrario della tensione al servizio, alla cura, alla fatica di comprendere che la finitezza individuale (non l’ideologia o la fede) suggerisce d’inquadrarsi nell’infinito di tutti. Meno egoismo, più ecumenismo. Questa storia dell’utero in affitto dovrebbe inchinarsi a una targa, una sola, sentimentale, culturale, sociale, eccetera. Dicesi anche (specialmente) cristiana, termine che rappresenta il marchio oggettivo della civiltà recataci in sorte, piaccia o no. Una culla uter alles, non in vendita e tantomeno in locazione.

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