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Urbi et Orbi

MASSACRO MEDIATICO

PAOLO CREMONESI - 05/05/2023

orlandiQuei manifesti a sfondo blu con la foto in bianco e nero di Emanuela Orlandi e la scritta “scomparsa”, attaccati  per tutta Roma ma soprattutto nei pressi del Vaticano, sono uno dei primi ricordi della mia avventura giornalistica romana. La vicenda della quindicenne, sparita il 22 Giugno 1983 mentre tornava da una lezione di musica e di cui da quasi quarant’anni non si hanno notizie, è stata inscritta d’obbligo nella lunga lista dei misteri italiani. Ior, Banda della Magliana, Ali Agca, pedofilia, Kgb, arcivescovi italiani ed inglesi sono stati via via scomodati nel tentativo di dare una risposta a questo enigma per cui  vale forse la stessa osservazione che il regista Marco Bellocchio fa dire in “Esterno Notte” all’agente americano Steve Piecznick inviato da Washington per investigare sul rapimento di Aldo Moro ad un affranto Francesco Cossiga: “Voi italiani cercate sempre un secondo movente, e poi un terzo e un quarto…”

Una vicenda che vede in primo piano il dramma di una famiglia che ancora non ha trovato una parvenza di risposta: il padre Ercole, Prefetto della Casa Pontificia, è morto nel 2004, dei quattro fratelli, il primogenito Pietro (l’ultima persona  a vedere Emanuela prima della scomparsa) continua a lottare per arrivare ad una verità.

Proprio per questo il 9 gennaio scorso Papa Francesco ha voluto riaprire le indagini sulla ragazza scomparsa affidando al promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi il compito di guidare una nuova inchiesta. Una doverosa decisione di trasparenza (“Lo dobbiamo soprattutto alla mamma che è ancora viva e soffre” ha spiegato il Segretario di Stato Parolin) su cui però si sono abbattute le polemiche  dichiarazioni di Pietro Orlandi che in una trasmissione televisiva ha adombrato la presenza di una rete pedofila nelle alte sfere del Vaticano sino ad arrivare a coinvolgere Karol Wojtyla che -ha detto- “…la sera usciva con due monsignori polacchi e non certo per andare a benedire le case”.

Parole gravi e gratuite che hanno provocato la secca reazione dello stesso Papa Francesco, che, fatto insolito nella storia delle stanze vaticane, il 16 Aprile alla preghiera domenicale dell’Angelus ha preso in prima persona la difesa di San Giovanni Paolo II bollando come infondate e offensive le illazioni.

Comportamento discutibile quello di Pietro Orlandi e del suo avvocato Laura Sgrò, aggravato dal fatto che alla richiesta del promotore di giustizia vaticana di fornire nomi ed elementi a supporto delle accuse, i due si sono trincerati nel silenzio uno sostenendo che il testimone che aveva fornito queste notizie era morto, l’altra  opponendo il segreto professionale.

“Prove? Nessuna” ha scritto sulla prima pagina dell’Osservatore Romano il Direttore della Sala Stampa Andrea Tornielli. “Indizi? Men che meno. Testimonianze almeno di seconda o terza mano? Neanche l’ombra. Una follia. Un massacro mediatico che ferisce il cuore di milioni di credenti e non credenti. E non lo diciamo perché Karol Wojtyla è Santo o perché è stato Papa – scrive ancora il giornale vaticano – La diffamazione va denunciata perché è indegno di un Paese civile trattare in questo modo qualunque persona, viva o morta, che sia chierico o laico, Pontefice, metalmeccanico o giovane disoccupato”.

In difesa di San Giovanni Paolo II si è levata anche la voce del noto prete anticamorra don Maurizio Patriciello : “Ho scritto una lettera  aperta al fratello della cara, carissima Emanuela Orlandi dicendo, se sa qualcosa parli, però insinuazioni, illazioni no. San Giovanni  Paolo II è un patrimonio dell’umanità, è un gigante, è un Santo della  nostra Chiesa, noi lo amiamo. La famiglia Orlandi ha ragione ad essere  addolorata e anche un po’ delusa ma adesso aspettiamo le conclusioni dell’inchiesta senza macchine del fango-esorta il sacerdote- perché le parole una volta lanciate  pesano come macigni”.

Triste vicenda su un ancor più triste dramma che interroga anche sul comportamento dei media proni nel diffondere illazioni di ogni genere senza contraltare, trascurando un preciso dovere deontologico: quello della verifica delle fonti. Anche il dolore più acuto non giustifica affermazioni gratuite.

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