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Cara Varese

FISCHI E UMORE NERO

PIERFAUSTO VEDANI - 02/06/2012

A Roma hanno fischiato l’inno di Mameli prima che si iniziasse la finale della coppa Italia calcistica, in palio tra Juventus e Napoli. Schifani, presidente del Senato, si è arrabbiato di brutto, ma evidentemente ha avuto scarse frequentazioni in ambito sportivo: a Roma, e si trattava dell’Olimpiade, fischiarono Andreotti mentre ai nostri tempi negli stadi del Paese è una pioggia di invettive e di cori oltraggiosi – a Livorno sono degli specialisti – addirittura anche contro i nostri caduti nelle missioni all’estero.

In Padania si contesta in genere il tricolore, il buon esempio lo diede anni fa Bossi a Venezia, e invece altri interpreti dai gusti ideologici diversi, non trovando opportunità di adeguata dimensione, esprimono il loro dissenso, per principio legittimo, affidandosi a composizioni murali, a volte di scarsa creatività e magro spessore.

L’Italia si ricompatta e tira fuori dai cassettoni il vecchio vessillo solo quando la nazionale di calcio vince qualche prestigioso titolo. Varese stessa ritrova ardore e slancio patriottico solo in occasione di successi delle sue rappresentative sportive: ricordo la città imbandierata per giorni e giorni quando, nel 1999, i baskettari vinsero il loro ultimo scudetto e furono festeggiamenti indimenticabili quelli per la prima promozione del Varese Calcio in serie A, anno 1964, e per tutti i prestigiosi e storici titoli della Pallacanestro Ignis Varese. Da noi il tifo organizzato ha avuto più matrici e percorsi o nel segno di un rapporto costruttivo con le società sportive oppure come attestazione di una ribalderia ritenuta invincibile, che qualche problema l’ha creato.

Se devo però fare un bilancio del peggio di queste manifestazioni devo risalire nel tempo, a una coppa dei campioni di basket, alla partita Ignis – Maccabi di Tel Aviv. A sorpresa apparvero striscioni, croci, ci furono cori terribili: ero vicino al telecronista israeliano, mi chiese di tradurgli la scritta più grande: “Mauthausen reggia degli ebrei” e gli vennero le lacrime agli occhi al ricordo del luogo di sterminio di centinaia di migliaia di compatrioti.

Ci furono in seguito pesanti reazioni internazionali per quell’episodio e le pagammo in termini di immagine, anche perché la Varese industriale è sempre stata nota all’ estero dove esporta, e in notevole misura, i suoi prodotti.

I fischi all’inno nazionale probabilmente rappresentano l’umore nero antipartitico della gente – confermato clamorosamente dalle elezioni dei giorni scorsi – ma l’episodio sarà presto dimenticato. Fosse stata fatta la fischiata a Milano, non sarebbe forse sfuggita ai mass media l’occasione per coinvolgere la Lega – Titanic e Varese. Già, sotto il Po sono convinti che noi si sia la capitale del Carroccio. Magari: risultati, cioè, opere pubbliche alla mano, possiamo sempre dimostrare di essere solo lontana provincia di confine. E da quando Umberto Bossi non era ancora nato.

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