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Urbi et Orbi

LA SFIDA

PAOLO CREMONESI - 29/09/2023

carlassare«Ma se non andiamo noi cristiani a testimoniare la pace là dove c’è violenza, chi vuole che vada?». Christian Carlassare risponde così in maniera diretta a chi gli chiede perchéé voglia tornare proprio nel luogo dove hanno attentato alla sua vita. Quarantacinque anni, originario di Schio, è vescovo a Rumbek, diocesi del Sud Sudan dal 25 Marzo 2022. Entusiasta, affabile, incurante dei cerimoniali, lo incontriamo a Roma dove ha partecipato ad un corso di formazione per i giovani presuli appena nominati.

Il suo nome rimanda inevitabilmente alla cronaca, per la precisione alla notte del 25 aprile 2021, quando venne ferito in un agguato che lo costrinse a rimandare di quasi un anno la sua consacrazione episcopale. Solo una serie di fortuite circostanze (ma, per chi crede, occorrerebbe usare una parola diversa) ha impedito che l’azione terrorista avesse conseguenze più gravi: la maggior parte delle pallottole ha colpito il vescovo ad entrambe le gambe ma non ha toccato organi vitali.

Per quell’atto criminale un prete della diocesi considerato il mandante e quattro laici sono stati condannati a sette anni di carcere. Il movente? Anche se difficile a comprendersi per la mentalità occidentale, fonti locali lo hanno indicato nel rifiuto da parte di alcuni membri dell’etnia “dinka” di un nuovo vescovo venuto da un’altra città per rimpiazzare il sacerdote autoctono. Le richieste economiche e di servizi da parte della propria etnia di riferimento in Sud Sudan possono essere opprimenti.

«Certo – racconta il vescovo – sono state ore difficili. Ho sperimentato l’impotenza, la paura e anche la frustrazione di essere parte di un momento divisivo all’interno della mia stessa diocesi. Ma mi sono affidato a Dio sia nel momento dell’attentato sia dopo, perchéé la Sua volontà potesse compiersi in me come nelle persone che tanto amano questa Chiesa. Oggi posso parlare di quella aggressione come di un momento di grazia».

Nel Sud Sudan la paura è frutto di anni di conflitti. Il Paese vive grandi e drammatiche sfide: dai rifugiati da altri Stati africani agli sfollati interni, dal costo della vita esorbitante ad una povertà che vede i due terzi della popolazione soffrire la fame, dall’impossibilità per la maggior parte delle persone di accedere ai servizi di prima necessità al cambiamento climatico che incide pesantemente sull’economia locale.

Ma sono soprattutto le divisioni etniche a rendere fragile e conflittuale il Paese diviso tra 64 tribù e centinaia di clan. L’appartenenza tribale infatti oscura quasi completamente l’identità dell’individuo che sopravvive solo all’interno del proprio gruppo: famiglia, clan, tribù. Questo legame viene prima della comunità allargata, della Chiesa, dello Stato.

«Ecco allora la sfida della cittadinanza, cardine del pontificato di Francesco e del documento sulla Fratellanza – sottolinea Monsignor Carlassare – da capire non stando negli uffici ma percorrendo le strade polverose delle periferie. La visita del Papa a Febbraio ha proposto una coscienza nuova a chi guida il Sud Sudan. Il suo appello, affinchéé si dia spazio al dialogo non solo all’interno del governo di unità nazionale ma anche con quelle parti che non ne fanno parte, ha spinto i capi ad ascoltare tutte le comunità locali imparando a ragionare a livello di nazione e non partendo dai propri interessi». «La pace – conclude il vescovo – dipende dai capi ma anche dal popolo che deve fare scelte precise: per questo è necessario iniziare con il disarmo, prima del cuore, per poi arrivare a quello reale delle armi purtroppo molto diffuse nel territorio».

Nei giorni precedenti alla visita di Papa Francesco Carlassare ha organizzato un pellegrinaggio di pace con 60 giovani di diverse etnie e religioni che partito da Rumbek, capitale dello Stato dei Laghi ha raggiunto Juba. Hanno camminato, pregato e cantato nove giorni per 200 chilometri giungendo nella capitale il 2 febbraio ventiquattro ore prima dell’arrivo di Bergoglio. Piccole fiammelle di luce che illuminano le tenebre di un Paese ancora alla ricerca di una sua identità.

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