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Sport

CALIMERO E RE MIDA

FABIO GANDINI - 20/10/2023

Luis Scola (da Wikipedia)

Luis Scola (da Wikipedia)

Se lo sport più amato, seguito e identificativo della città di Varese è da sempre la pallacanestro, una ragione c’è ed è la continuità ad alto livello che a un certo punto della storia ha impresso un marchio, indelebile ancora oggi. Ci si appassiona alle squadre che vincono, che danno soddisfazioni, a quelle realtà che nella particolare forma di transfer psicologico che il tifo crea – il loro che diventa noi – permettono di gonfiare il petto, non di abbassare la testa.

Dopo la metà degli anni ’60 del secolo scorso, la Pallacanestro Varese ha iniziato a vincere, scudetti e coppe internazionali, o ad andarci sempre molto vicina, e per almeno 15 anni non si è voltata indietro. L’apice negli anni ’70: dieci finali di Coppa Campioni consecutive. Un record finora mai eguagliato da nessuno.

Tutto ciò è durato abbastanza per fissare un prima e un dopo, ma non per sempre: negli ultimi tre decenni non solo le vittorie ma anche le stagioni ad alto livello si sono fatte più rare e soprattutto mai consecutive. Quando Varese sembra pronta a rinfilarsi nel gotha della palla al cesto, passano pochi mesi e ritorna nella mediocrità.

Quanto sta accadendo di questi tempi sembrerebbe confermare la regola. Nell’annata agonistica 2022/2023, al netto delle vicende societarie riferite alle stagioni pregresse che hanno reso vani i risultati ottenuti sul campo, la Openjobmetis si è classificata al sesto posto e ha disputato le final eight di Coppa Italia: traguardi non banali, raggiunti peraltro da una squadra che ha entusiasmato per il suo modo sbarazzino e sparagnino di giocare. Pochi mesi dopo tutto è cambiato: i biancorossi faticano, hanno già perso tre partite ufficiali su 5, giocano male e sembrano destinati a finire ancora una volta tra le comparse.

Ci sono due sindrome che attanagliano Masnago e dintorni: una è quella di Calimero, l’altra è quella di Re Mida.

Dopo aver ammirato il basket divertente, spesso primeggiante, corsaiolo e produttivo (tante volte sono stati oltre 100 i punti segnati) messo in mostra dalla Varese guidata da Matt Brase, fuggito poi in estate per ritornare a casa sua, quello espresso dall’erede Tom Bialaszewski non riesce a entusiasmare. La filosofia – corsa e tanti tiri – dovrebbe essere sempre la medesima, perché é così che vuole la proprietà: gli interpreti scelti per metterla in pratica, però, finora non si stanno dimostrando adatti allo scopo. Oggi la Openjobmetis non corre, segna poco ma non difende nemmeno tanto, tira solo da 3 e basta. E soprattutto perde, forse proprio perché non ha ancora un’identità chiara, ma solo scimmiottante.

Eccola la sindrome da Calimero: voler assomigliare a qualcuno/qualcosa e vedersi irrimediabilmente più brutti di quel qualcuno/qualcosa.

Chi è Re Mida, invece? Re Mida è Luis Scola, ovvero l’ex campione che dal 2021 si è impegnato a traghettare, prima entrando nei quadri societari, poi acquisendo la maggioranza delle quote, la Pallacanestro Varese nel futuro. Lo sta facendo con un impegno encomiabile e con la forza delle sue idee allattate dagli anni di militanza nel sistema del basket professionistico americano, circondato finora da un’aurea di infallibilità che si tende a riservare ai salvatori della patria.

Luis, però, non è Re Mida, anche se a tutti piacerebbe crederlo. A giudizio di chi scrive nell’estate appena trascorsa sono state diverse le questioni che avrebbero potuto essere affrontate in modo diverso: scritto di un mercato atleti che non ha ancora dato i frutti sperati, anche la scelta di sacrificare il miglior general manager dell’ultima Serie A, Michael Arcieri, non suona corretta, così come quella di non confermare il capitano di lungo corso Giancarlo Ferrero, lasciando così sprovvista la nuova Openjobmetis di una guida che serve sul parquet ma ancora di più fuori; e gli investitori australiani da un anno alla porta, sono l’azzardo corretto per trovare nuova linfa economica? E ancora: la linea di comunicazione e di gestione dei rapporti con la fan base, ispirata alle abitudini d’oltreoceano, è adattabile in toto alla dimensione popolare a affettiva che ha sempre avuto la Pallacanestro Varese con tifosi e addetti ai lavori?

Scola è umano: può sbagliare. Ammetterlo servirebbe a tutti per accettare molto più serenamente il corso delle cose, non fare voli pindarici, non inseguire l’oro e lasciare al manovratore il tempo per portare Varese verso posti migliori, se si dimostrerà in grado di farlo.

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