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L'antennato

TRASLOCO D’ORO

STER - 20/10/2023

fazioÈ stato il tormentone dell’estate: il trasloco di Fabio Fabio e il suo “Che tempo che fa” dalla Rai al Nove, canale di proprietà Discovery, ha fatto parlare molto e in tanti, lunedì scorso alle 10, fremevano nell’attesa di vedere i risultati d’ascolto del debutto di questa operazione senza precedenti nella lunga storia della televisione italiana.

Il dato è stato uno schiaffone in faccia ai dirigenti Rai, o meglio alla politica che governa la Rai: il conduttore savonese col suo collaudato gruppo ha conquistato il 12% della platea all’ascolto la prima domenica, quando oltre che sul Nove, CTCF è stato trasmesso a reti unificate su tutti i (piccoli) canali del gruppo. Un risultato enorme, che triplica l’obiettivo dichiarato dal conduttore e doppia quello del miglior programma finora trasmesso su quegli schermi, quello di Maurizio Crozza, che per parte sua si attesta stabilmente sul 6%.

Ma perché è così importante questo successo? Non tanto per la clamorosa batosta che ha portato a casa il servizio pubblico Rai, perdendo un brand iconico (un po’ come se la Ferrero si lasciasse scappare senza colpo ferire il marchio Nutella…) ma perché non era mai capitato prima che un programma traslocasse identico da una rete all’altra, arrivando a dimostrare come l’ascolto dipenda più dal valore del prodotto più che dalla potenza editoriale del canale che lo propone. Se Carlo Conti col suo “Tale&quale show” andasse sul Nove, oggi probabilmente farebbe un grosso risultato; così ha fatto Fazio, che ha avuto la forza contrattuale di portare sul suo nuovo canale lo stesso identico programma che ha condotto sulla tv di stato per venti anni. Non è cambiato niente; “siamo gli stessi” ha detto per prima cosa il conduttore. E in effetti, proprio nulla è andato perso nel pur tumultuoso trasloco: stessa scena, stesse luci, stessi autori, stessi ospiti fissi, stessi autori, persino gli stessi pesci nell’acquario. Fazio, che ha firmato in passato programmi rivoluzionari per la tv italiana (pensiamo a Quelli che il calcio, Anima Mia, Binario 21, lo stesso CTCF di vent’anni fa) per vincere la sua personale battaglia non ha cambiato una virgola del programma: è stato un azzardo da consumato pokerista, e ha sbancato.

Perché tutto cambiasse, nulla doveva cambiare, “gattopardianamente”.

In tanti dicono che Fazio oggi sia colui che ha saputo raccogliere con successo il retaggio del “late show” americano che in tanti – da Luttazzi a Cattelan – da trent’anni cercano di sdoganare in Italia, insieme alla spensieratezza dei clan TV che è stata la cifra fondante dei vari “Mai dire…” con la Gialappa’s e – andando indietro nel tempo – della banda Arbore. Degli uni e dell’altra, in effetti, Fazio accoglie oggi a CTCF nomi di punta (dagli stessi Gialappi a Ferrini e Frassica).

Ai decisori politici che reggono la Tv di Stato (en passant: con la manovra 2023 è stato deciso un sostanzioso taglio del canone Rai) sfugge però un dato importante: al giorno d’oggi un programma di successo, sia pur ideologicamente sgradito, non si può più silenziare senza colpo ferire come in passato è toccato ai Santoro, ai Biagi, ai Luttazzi, ai Bertolino, ma semplicemente lo si può sospingere su altri schermi, lasciandolo libero di richiamare pubblico e pubblicità; e in grande quantità.

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