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Pensare il Futuro

L’ARMAMENTARIO

MARIO AGOSTINELLI - 10/11/2023

bellicaLa storia dirà se stiamo vivendo una fase di transizione verso un conflitto globale nel segno dello “scontro di civiltà”. Intanto però gli analisti dei mercati finanziari appaiono super-eccitati ad ogni segnale di rincrudimento della logica bellica.

Come rileva Eric Salerno (“Il Manifesto” 22 ottobre) sul sito di uno dei grandi gestori di fondi e investimenti “National Defense Authoriziation” si legge come per il 2024 la difesa statunitense preveda 886,3 miliardi di spesa con un incremento del 3,3% rispetto al 2023.

Le dinamiche del settore della difesa statunitense sono radicalmente cambiate dal 7 ottobre e alcuni titoli degli armamenti hanno registrato un balzo dall’inizio del conflitto in Israele. Alcune cifre: tre dei primi 10 importatori di armi nel periodo 2018-2022 sono in Medio Oriente e sono precisamente Arabia Saudita, Qatar, Egitto. L’Arabia Saudita è stata il secondo più grande importatore di armi nel mondo nel 2018-2022 e ha ricevuto il 9,6% di tutte le importazioni di armi in quel periodo.

Le importazioni di armi del Qatar sono aumentate del 311% tra il 2013-17 e il 2018-22 rendendolo il terzo importatore di armi al mondo nel 2018-22. Quali sono i paesi esportatori verso questi paesi del Medio Oriente? In testa gli USA con il 54%, seguita dalla Francia 12%, Russia 8,6% e Italia 6,4%. Le esportazioni includevano complessivamente 260 arei da combattimento avanzati, 516 nuovi carri armati (il mercato usato dei thanks è in grande fioritura) e 13 fregate.

Gli Stati arabi della sola regione del Golfo hanno effettuato ordini per altri 180 arei da combattimento, mentre 24 sono stati ordinati dalla Russia e dall’Iran (che non ha ricevuto armi importanti tra il 2018-22). Un dato quest’ultimo molto interessante quando si sostiene che l’Iran appoggia Hamas e ci si dimentica di alcuni grandi acquirenti arabi che pure appoggiano il gruppo che ha scatenato l’attacco ad Israele.

Insomma, attenzione al traffico d’armi in tutta l’area e – come silloge – ricordare la dichiarazione di Biden: «Un investimento intelligente nella sicurezza americana pagherà dividendi per intere generazioni».

Ma c’è anche un risvolto energetico collegato alla guerra. Cinquant’anni dopo la guerra del Kippur, l’insicurezza energetica per gli Stati importatori di gas e petrolio è di nuovo all’ordine del giorno, a maggior ragione dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Israele è autosufficiente per il gas. Ironia della sorte ora è l’Iran che con Hezbollah, in nome della solidarietà islamica, chiede agli Stati arabi di imporre sanzioni petrolifere a Israele ed una guerra tra Iran e Israele cambierebbe di nuovo le carte in tavola per tutti.

Diversi Stati europei, tra cui Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, dipendono per il gas liquido dal Qatar, sostenitore di Hamas e grande investitore in Europa nell’immobiliare e nel calcio. Si è aperta una un’epoca di paradossi e compromessi.

Insomma: finché ci sono guerra e fossili c’è profitto.

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