La brusca “rimozione” del vescovo Joseph Strickland dalla diocesi di Tyler, nel Texas, decisa da papa Francesco, ricorda per modalità la “cacciata” del cardinale Angelo Becciu, sfiduciato e indotto a dimettersi nel 2021, privato delle prerogative della porpora e inibito a partecipare a futuri conclavi. Sono in apparenza due provvedimenti presi all’improvviso, senza spiegarne i motivi. Misure severe, ricorrenti in Francesco. Ma le cause sono diverse. Nel caso di Becciu la sanzione si riferiva all’incauto acquisto di un ex magazzino Harrods pagato 300 milioni in Sloane Avenue a Londra e ad altri discussi utilizzi dei fondi vaticani. Il processo è tuttora in corso.
Per Strickland, invece, la motivazione sarebbe di natura disciplinare. La decisione è stata presa al termine della visita apostolica disposta dal papa nel giugno scorso nella diocesi di Tyler e affidata a due vescovi statunitensi, monsignor Dennis Sullivan, vescovo di Camden e monsignor Gerald Kicanas, vescovo emerito di Tucson, che hanno preso in esame il governo e la guida della diocesi. Il portale della Santa Sede, Vatican News, non chiarisce: “Dopo mesi di attenta considerazione da parte del dicastero per i vescovi e del Santo Padre, si è giunti alla decisione di chiedere le dimissioni del vescovo che, il 9 novembre 2023, ha rifiutato di dimettersi”.
Di qui la necessità di sollevarlo dall’incarico. Non si sa che cosa sia emerso nel corso dell’ispezione ordinata dal papa. È noto invece che Strickland è critico verso le riforme di Francesco, duro con le aperture a omosessuali e divorziati, indispettito per le limitazioni delle messe in latino decise dal Concilio vaticano II, liberalizzate da Benedetto XVI e di nuovo ristrette da papa Francesco e personalmente contrario perfino all’uso dei vaccini. Pubblicamente si è schierato contro la comunione a Joe Biden perché “sostenitore dell’aborto” anche se il presidente Usa è in realtà contrario all’interruzione della gravidanza, ma non vuole imporlo alle donne.
In occasione delle visite apostoliche, nel giugno scorso, Strickland si sarebbe difeso affermando che il Vaticano vuole punirlo per le sue posizioni “contro le nuove verità che potrebbero emergere dal Sinodo” e ha rivendicato il diritto a non essere d’accordo con i cambiamenti. In suo aiuto si è levata la voce del cardinale “a riposo” Gerhard Ludwig Müller, già prefetto dell’ex Sant’Uffizio, che ha invitato il presule a resistere: “Il papa non ha alcuna autorità per molestare e intimidire i buoni vescovi”. E l’organizzazione cattolica di estrema destra Lepanto Institute, molto vicina all’ex presidente Trump, ha definito Francesco un “dittatore sovietico”.
L’allontanamento del prelato texano ha dato inevitabilmente fiato alle trombe dei nemici di Bergoglio, tra cui il vescovo kirghiso Athanasius Schneider che considera il pontificato di Francesco “una croce” e l’ex nunzio negli Usa Carlo Maria Viganò, varesino, che definisce il papa capo della deep church vaticana e inimicus ecclesiae. E in Italia i media anti-bergogliani ne approfittano per rilanciare la tesi secondo cui Benedetto XVI rinunciò nel 2013 al potere pratico (ministerium) ma non al munus, il titolo divino previsto dalla legge canonica: dunque la rinuncia non è valida, di conseguenza Francesco sarebbe un antipapa e i cardinali da lui nominati, al prossimo conclave, eleggerebbero un altro antipapa.
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