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Sport

IL DECIMO

CLAUDIO PIOVANELLI - 17/11/2023

Ignis Varese 1968-69

Ignis Varese 1968-69

Ha partecipato alla nascita di uno dei più grandi fenomeni sportivi, l’Ignis del grande ciclo vincente inaugurato nel 1968 e proseguito sino al 1980 (anno dell’ultimo successo internazionale), e lo ha poi vissuto per tre stagioni. Giorgio Consonni, 74 anni portati alla grandissima, è stato quello che ai tempi si definiva “il decimo”, cioè quel giocatore, di norma giovanissimo (e Giorgio aveva infatti 19 anni), che completava la formazione e che era però destinato a una quasi eterna panchina.

«Tre anni straordinari – ricorda – utilissimi alla mia formazione non tanto cestistica (un grave infortunio a una caviglia mi costrinse a cessare l’attività a 25 anni) quanto umana e anche professionale».

Tutto nacque nell’estate del 1968, dopo una stagione piuttosto deludente che aveva visto l’Ignis chiudere il campionato al quinto posto. Ma come Giorgio Consonni entrò a far parte di quella squadra destinata a diventare leggendaria? «A volermi fu l’allenatore Nico Messina – risponde – scegliendomi nel gruppo degli juniores dopo che un mio passaggio a Siena, di cui si era parlato, non si era concretizzato. Non me l’aspettavo, toccai il cielo con un dito. Conoscevo già molto bene Dino Meneghin, amico fraterno e anche compagno di classe, gli altri giocatori solo di fama, anche se tutti o quasi erano varesini o avevano già vestito la maglia della Ignis. La squadra si era rinnovata per sette decimi, confermando solo Meneghin, Rusconi e Villetti. Il mio atteggiamento? Ero lì solo per imparare».

Sin dall’inizio le cose andarono ben al di là delle attese, che per molti non potevano spingersi molto oltre il raggiungimento della salvezza: «Grazie soprattutto alle intuizioni di Giancarlo Gualco, quella squadra stravolse i canoni tradizionali concedendo piena fiducia a Meneghin, solo diciottenne, per il ruolo di pivot titolare e scegliendo un esterno come Manuel Raga, unico straniero. Ricordo l’arrivo di Manuel per la prima volta al palasport: era reduce dalle Olimpiadi di Città del Messico, si presentò, accompagnato da Gualco (che lo aveva scelto dopo averlo visto in un torneo estivo a Chieti), con la tuta della sua Nazionale e, visto così, non ci fece una grande impressione. Poi eseguì quattro o cinque tiri da lontano, tutti a bersaglio, e capimmo di che pasta era fatto…».

Complici anche i primi risultati favorevoli (nel girone di andata l’Ignis vinse 8 partite su 11), la miccia si accese… «Si creò in brevissimo tempo un incredibile feeling con il pubblico – ricorda Consonni – che, come noi, cominciò a credere nel miracolo. In squadra si creò un’alchimia straordinaria, fondata su amicizia e frequentazione anche al di fuori del campo: eravamo sempre insieme, anche accettando gli inviti dei tifosi, sempre partecipi dei nostri successi. In squadra anche qualche decisione tecnica (Ossola e Rusconi soppiantarono Villetti e Ovi nel quintetto base) venne accettata con serenità e tutto si concluse con una sorta di spareggio con il Simmenthal che stravincemmo a Masnago all’ultima giornata».

Per la stagione successiva la società sfoderò una mossa inattesa: cambiare l’allenatore che aveva vinto lo scudetto. «Arrivò Aza Nikolic ma Nico Messina rimase come direttore tecnico. Giancarlo Gualco, non per mancanza di fiducia nei confronti di Nico, pensò che di fronte agli impegni di Coppa Europa fosse necessaria una guida più esperta e carismatica e il Professore rispondeva in pieno a questi requisiti. Inutile negarlo, il passaggio da Messina, un padre e un amico per tutti noi prima che un allenatore, a Nikolic fu un po’ uno shock: credo che, già dopo pochi giorni, i nostri senatori” (Flaborea e Vittori, che era appena rientrato da Napoli) ne abbiano parlato con il Professore e con Gualco. L’inizio fu comunque molto duro, ma ancora grazie a Gualco (sempre positivo in ogni situazione, ecco un’altra delle sue grandi qualità) le difficoltà vennero superate. Nikolic ci diede una iniezione di professionalità a 360 gradi, non solo in campo, ma anche fuori, dal ritiro precampionato all’alimentazione, all’impegno ininterrotto, dal lunedì alla domenica (lunedì e sabato erano dedicati soprattutto al lavoro individuale) in una sorta di tempo pieno. Oggi tutto questo appare normale ma parliamo di cose che avvennero più di cinquant’anni fa!».

Tra i mille ricordi di quelle tre stagioni magiche, Giorgio Consonni ne sceglie uno dedicato a Dino Meneghin: «Quando Dino entrava in spogliatoio – spiega – prima della partita ma anche prima dell’allenamento, letteralmente mutava espressione. Io mi cambiavo accanto a lui e, come ho detto, la nostra amicizia era più che solida; ma mi coglieva una sorta di timore nei suoi confronti e sapevo che da quel momento, e sino al termine dell’impegno, lui si trasformava e bisognava stargli alla larga: diventava duro, implacabile, davvero un altro, concentrato su ciò che doveva fare e solo su quello. Ma anche per questo Meneghin è diventato Meneghin…».

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