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Opinioni

MISERIA, DISPERAZIONE

ROBI RONZA - 24/11/2023

femminicidioCon tutto il dovuto rispetto per la tragica sorte della vittima e per il dolore dei suoi familiari, vorrei tentare di porre alcuni punti fermi su vicende come quella di Giulia Cecchetin, che merita di venire sottratte a interpretazioni stereotipate ed ideologiche.

Partiamo in primo luogo dai dati relativi agli omicidi, per i quali l’Italia – cosa raramente sottolineata — ha il privilegio di essere agli ultimi posti tra i 27 Paesi dell’Unione Europea. Secondo la più recente statistica Eurostat disponibile, nel 2017 a fronte di una media Ue di 1,34 omicidi per 100 mila abitanti, l’Italia fa registrare lo 0,60 (tra il minimo della Provincia Autonoma di Bolzano, 0,21, e della Liguria, 0,22, e il massimo della Puglia, 1,24, e della Calabria, 0,78). In cima alla classifica sono la Lettonia, con 5,6 omicidi per 100 mila abitanti, seguita dalla Finlandia e dalla Svezia. Nell’insieme si uccide di più nel nord Europa, e di meno nell’Europa del Sud e dell’Est.

In quanto agli omicidi di donne (non tutti definibili come “femminicidio”) in cima alla classifica è ancora la Lettonia, 4,12 donne uccise per 100 mila abitanti nel 2018, mentre l’Italia con 0,43 è in fondo alla classifica, che vede all’ultimo posto la Croazia, 0,38.

Fino al 12 novembre di quest’anno in Italia, secondo dati diffusi dal ministero dell’Interno, si sono registrati in totale 285 omicidi, con 102 vittime donne, di cui 82 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 53 hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner. Con l’omicidio di Giulia Cecchetin, le vittime donne sono 103, due in più rispetto allo scorso anno, mentre i femminicidi passano dagli 88 del 2022 agli 83 del 2023. In conclusione in Italia il fenomeno è limitato. Quindi quando nei telegiornali i conduttori annunciano l’”ennesimo” femminicidio diffondono una voce falsa e tendenziosa. E mai si ricorda che si sono registrati anche casi in cui è la donna che uccide l’uomo.

Veniamo ora alla tesi, così spesso accreditata dai giornali, che i femminicidi sia il frutto di una mentalità patriarcale che in Italia persisterebbe tuttora malgrado tutto. Salvo i pochi casi in cui il contesto è quello di una famiglia di immigrati in cui vigono codici etici che nulla hanno a che fare con i nostri (come è tipicamente il caso dell’assassinio di Saman Abbas a Novellara, Reggio Emilia) tutti questi assassinii maturano in contesti che nulla hanno a che vedere con il mondo patriarcale: si tratta in genere di unioni di fatto, di fidanzati conviventi, di unioni tra immigrati stranieri di diversa nazionalità, tutte situazioni inimmaginabili nel mondo patriarcale, peraltro ormai estinto da generazioni. Si situano cioè una situazione tipicamente contemporanea – resa in pratica possibile dall’attuale disponibilità di farmaci o di accorgimenti anti-concezionali molto sicuri — nella quale la sessualità anche femminile viene vissuta sempre più spesso sganciata dall’unione stabile, dal matrimonio e dalla fertilità. Ed è frequentemente intesa come un bengodi al di fuori di qualsiasi progetto di vita comune. È piuttosto da questo modo puramente funzionale di intendere il rapporto che può nascere la reazione violenta alla sopraggiunta indisponibilità dell’altro. Non c’è niente di neo-patriarcale. È piuttosto un furore di fronte a qualcuno che pretende di sottrarti ciò che ritieni cosa tua. È più simile insomma alla reazione di fronte a qualcuno che cogli mentre ti sta rubando la moto o l’auto. Non rientra in genere nella sfera dei rapporti propriamente umani. Dovrebbe essere evidente che casi del genere si spiegano non tanto con una prepotenza specifica dell’uomo quanto con una miseria umana e una disperazione complessiva che prima di essere di una persona è di una famiglia, di un ambiente, forse anche di un contesto sociale.

Sorprende infine che mai ci si soffermi a commentare la tragedia nella tragedia di quei casi in cui l’assassino o l’assassina, dopo aver ucciso il partner, si suicida. È accaduto la mattina dello scorso 28 ottobre a Rivoli (Torino) dove un uomo ha ucciso la moglie, poi ha poi preso con sé la figlia di tre anni e si è recato sul posto di lavoro, in uno stabilimento a Orbassano. Qui, dopo aver affidato la bambina a un collega, si è tolto la vita buttandosi da un silo. E così pure a Corbetta (Milano) il 5 ottobre scorso dove una donna ha ucciso il marito mentre dormiva e poi si è tolta la vita.

Quale groviglio di incomprensioni, di dolore, di miseria umana ed anche probabilmente di follia può spingere in queste circostanze a uccidere e poi a uccidersi? Come si può trascurare questo abisso e liquidare tutto con la storia del potere patriarcale di cui nessuno di questi assassini può avere più alcuna memoria diretta?

www.robironza.wordpress.com

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