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Attualità

ALTRI NATALI

GIOIA GENTILE - 15/12/2023

cicerchiata

La “cicerata” calabrese

Non provo nostalgia per i Natali della mia infanzia in Calabria, solo tenerezza: per un’epoca lontana e superata; per le persone care, ormai morte, di cui la memoria mi ripropone i gesti, gli sguardi e le parole; per la magia della semplicità con cui si celebrava l’evento. O forse è il cuore che sovrappone realtà e sogno e fa credere che sia esistito solo ciò che si desidera. Tuttavia alcune immagini mi ritornano con flash così vividi che sono certa siano ricordi reali.

Non c’erano regali a Natale, li portava la Befana ed erano mandarini, dolcetti, torroncini. A pensarli adesso, mi sembra di vederli appesi all’albero, ma è un inganno della memoria, perché non c’era neppure l’albero: in Calabria non si usava. Si faceva solo il presepio e quello era davvero un regalo.

La mamma lo allestiva su un tavolo dal piano spazioso, posto a fianco della credenza della sala da pranzo. Il mio sguardo, come quello di tutti i bambini, operava la magia: le montagne di carta stropicciata diventavano reali, la cartapesta della grotta era roccia vera, la striscia di stagnola era un fiume che si gettava in un lago di specchio; e ogni statuina di terracotta raccontava una storia. Non c’erano luci, ma non ne sentivo la mancanza: c’era la fantasia.

Si festeggiava la sera della vigilia. Non ricordo che cosa si mangiasse, nei magri anni cinquanta, certo qualcosa di meglio della carne di pecora, più facilmente reperibile tutti i giorni dell’anno. Dovevano esserci diversi dolci al miele, come la cicerata, le scalille o i mostaccioli formati a stella per l’occasione; e quasi sicuramente le crocette di fichi secchi al forno. Io però ricordo solo la torta di vermicelli, che la mamma faceva per papà giusto perché era Natale. A lui piaceva molto, ma a lei faceva impressione, perché, quando si tagliava, gli spaghetti uscivano strisciando dall’impasto e sembravano davvero dei vermetti.

A cena finita, si restava attorno al braciere a raccontarsi storie. Mia madre allora, ritornava con nostalgia ai suoi Natali in Istria. Anche loro festeggiavano la sera della vigilia, con le prelibatezze del maiale che era stato macellato nella campagna del nonno; il tavolo dove avrebbero cenato veniva ruotato e sotto di esso veniva acceso dell’incenso: un rito che molti anni dopo cercò di ripetere, senza però ritrovarvi l’antica suggestione. Il dolce tipico erano le fritole, quelle sì rifatte parecchie volte negli anni successivi: sono frittelle di frutta varia e farina, che richiedono una lunga preparazione. Come mi piacerebbe adesso sentire ancora quel sapore! Ma, naturalmente, né io né mia cugina abbiamo pensato di farci lasciare la ricetta dalle nostre mamme. L’epoca delle fritole è finita con loro. Certo, ne abbiamo trovato diverse in internet, ma non credo si possa riprodurre il sapore di famiglia.

La mattina di Natale andavamo a Messa. Piano piano la chiesa di San Nicola si riempiva: gli uomini da una parte, le donne dall’altra, sul capo il velo più bello; e tutti con l’abito della festa. Per il resto, la giornata trascorreva come tutte le altre, solo con una possibilità in più di incontrare parenti e amici. Il Natale era stato celebrato.

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