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Storia

QUELLA FINE D’ANNO

MASSIMO LODI - 22/12/2023

mariolodiIl brano che segue è tratto da “La sciarpa verde” (Edizioni Lativa), storia d’un incontro editoriale nella Varese di oltre sessant’anni fa, raccontato da Massimo Lodi.

Alla metà del pomeriggio del 29 dicembre ’59 Enrico Rovetti telefona a Mario Lodi sollecitandogli i documenti da presentare in Tribunale insieme con la deposizione della firma di direttore. Scambiano qualche divertita battuta. Tutt’e due guardano al futuro con fiducia, ma anche con timore: ignorano quale definitiva piega prenderanno le vicende della “Prealpina”, storico quotidiano locale, dopo un periodo in cui non sono mancate incertezze e preoccupazioni. Rovetti e Lodi ci metteranno un po’ per entrare in sintonia, poi costituiranno una coppia di ferro: ciascuno deciso a difendere la propria autonomia, tutt’e due determinati a sovrapporvi l’autonomia della testata. La sera è Achille Cattaneo, presidente della Società editoriale varesina, a chiamare il neodirettore. All’uomo piace un certo distaccato “aplomb”, è solito indulgere a un profilo basso e al tempo stesso icastico quando ha qualcosa d’importante da comunicare. Fa riferimento al colloquio dell’anno precedente nella sua villa. «Caro Lodi, che mi dice: pensa d’essersi fatto trovare pronto alla chiamata?». «Penso di sì» gli viene replicato con voce tremula per l’emozione. «E allora vi risponda» prosegue Cattaneo. È l’unica raccomandazione che fa, senz’averne ricevuta alcuna per la nomina. Non si diranno molto d’altro. Gli auguri di buon lavoro da una parte, l’impegno a indirizzarli al meglio dall’altra.

Di strategie editoriali Cattaneo non vuol sentire parlare, è un linguaggio che -dice- gli fa venire il prurito. Detesta le parole grosse perché «…talvolta scoppiano». Il mandato è: fare con dedizione il proprio dovere, dar conto d’ogni più piccola notizia, tenere i toni misurati, rispettare le istituzioni, esercitare la critica con giudizio. Insomma: tener fede al programma, e perfino al timbro antropologico, del fondatore. Sono passati più di settant’anni, ma la lezione di Giovanni Bagaini vale ancora. La “Prealpina” ha una vocazione conservatrice: delle derive (perché tali le considera) dà conto, ma evitando con accuratezza di farvi sponda. Potrebbero volgersi in aborrite ordalie.

Lodi prende atto senza obiezioni: quel programma lo avverte come connaturato a sé stesso, sicuro che siano solo i moderni a diventare sorpassati. Di Cattaneo -nato a Bergamo nel 1885 e approdato a Varese nel 1911, Cavaliere del lavoro a soli trent’anni, consulente ministeriale durante la Prima guerra mondiale e poi consigliere nazionale della Corporazione della chimica- ha lasciato, tra le altre, questa memoria: «Un grande capitano d’industria: da titolare della Conciaria Valle Olona s’era allargato a dominare quell’intero settore produttivo. Poi aveva comprato la casa discografica Ricordi, affermando un’altra leadership imprenditoriale. Amava la musica, era palchettista alla Scala, aveva una predilezione per i giornali. Li considerava l’irrinunciabile compagnia quotidiana, e uno strumento da usare con attenta circospezione. Possono fare molto male, diceva. Ma possono fare anche molto bene. Nella redazione della “Prealpina” veniva poche volte l’anno, facendosi accompagnare dal genero Gianni Babini perché non guidava l’auto: qualche veloce scambio di battute con i giornalisti e le maestranze, un giro curioso per gli stanzoni impolverati e caotici con l’aria di chi sapesse già tutto degli “arcana imperii”, poche raccomandazioni e l’incitamento a darsi da fare. Era povero di parole, ma ricco di motivazioni. Bastava una sua telefonata -e di telefonate ne faceva molte- ed era sufficiente l’accenno a un problema per intuirne il desiderio di risolverlo in fretta. E magari anche in che modo. La sua presenza aleggiava sempre su tutto e su tutti, e aveva un che di fascinoso mistero: era di sobrie abitudini, prediligeva solitarie passeggiate e la coltivazione delle rose, rifuggiva la confusione». In sintesi: un melomane che, anche nel “milieu” extramusicale, rifiutava i toni alti (figuriamoci le fanfare) e non ammetteva le stecche. Psicologicamente, un tipo musclé, come dicevano i francesi di cui era ammiratore.

Cattaneo conviene con Lodi che Mario Gandini non verrà sostituito, come era nelle intenzioni, dal primo gennaio. È un venerdì, e il direttore uscente merita l’onore di firmare anche il numero che conclude la settimana e che coincide con il suo settantesimo compleanno. La domenica 3 gennaio s’inizia invece la nuova avventura. «Ero consapevole -annota Lodi- d’essere l’outsider del momento, ma anche del fatto che non ci si debba sottrarre alle sfide lanciate dal destino. A maniche rimboccate cominciai quella che Cattaneo aveva chiamato “la rifondazione”. Un lavoro duro, irto di difficoltà e affrontato con la generosa collaborazione di molti, ma anche con l’insidia di una diffidenza cui il neofita ovviamente non poteva sottrarsi. A vincerla non furono le chiacchiere bensì i fatti e cioè l’impegno quotidiano, la ricerca sempre del meglio, l’umiltà nel correggere gli errori commessi, la disponibilità ad accogliere idee, suggerimenti, proposte». Una tranquilla metodicità da antieroe borghese, consapevole del falò riservato alle illusioni.

A giugno sarebbe arrivata la prima querela: Silvana Mangano e Alberto Sordi l’avevano data a numerosi giornali contestando la pubblicazione d’una foto in cui li si vedeva insieme in atteggiamento intimo sulla Costa Azzurra. Gli avvocati delle parti contrattarono la remissione. La “Prealpina” dovette pagare. Commentò il direttore: «L’amministrazione riceve il via libera dal presidente che coglie la circostanza per trarre da una vicenda negativa un giudizio positivo: il giornale sta cominciando a muoversi dalle 10.500 copie che vendeva alla fine del ’59 e tutto sommato le casse consentono di soddisfare quella richiesta legale. Il bilancio della Sev va stabilizzandosi e il mio personale anche. Con Nino Miglierina facciamo un privatissimo cin cin nel suo ufficio: abbiamo superato il periodo di prova, possiamo tuffarci nel lavoro con entusiasmo ancora maggiore. Da colleghi siamo diventati complici, tutto sembra finalmente meno difficile».

Miglierina è nato nel 1911, ha insegnato lettere alle scuole medie, è stato partigiano e annunciatore da Radio Busto Libera della vittoria sul nazifascismo, frequenta la redazione di Busto Arsizio dal ’46, ha sposato la sorella del vicepresidente Ferrario. È un uomo d’indole bonaria e di modi gentili: metterà al servizio dell’impegno direzionale qualità umane, oltre che professionali, decisive perché possa essere assolto al meglio.

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