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Attualità

DOLORE D’IMMAGINI

LUISA NEGRI - 12/01/2024

lastoriaRivedere a distanza su Raiuno ‘La Storia’ di Elsa Morante, nel bel lavoro della regista Francesca Archibugi, è andare indietro di anni. Questo almeno per le generazioni che hanno letto i libri della scrittrice e li hanno amati al primo incontro.

Significa ritornare nell’atmosfera e nei momenti ricreati dalla penna dell’autrice, ambientati nell’epoca da lei vissuta. Che fu raccontata anche da Alberto Moravia, suo marito, nel romanzo ‘La Ciociara’: altro spaccato di quei tempi, rievocante i momenti di fuga della coppia dalla città di Roma, pesantemente bombardata durante la Seconda guerra mondiale.

La prima puntata del film-tv ha permesso di ritrovare questa realtà: distante per i giovani di oggi, ma era quella dei genitori e dell’altro ieri, per chi leggeva i romanzi della Morante. Ne ‘La Storia’ a dominare è purtroppo un universo di guerra, paure, insicurezza e fughe tentate verso la salvezza. Al centro della vicenda è una maestra, diremmo una delle insegnanti miti e gentili che vien di chiamare maestrine, perché abituate a lavorare onestamente, a non chiedere e a fare il proprio dovere senza voler troppo apparire. Ida Ramundo, così si chiama la protagonista interpretata da Jasmine Trinca, è però inseguita dal dolore, chiusa nel bozzolo della malinconia e delle ristrettezze economiche -al limite di una decorosa miseria condivisa col figlio Nino- intimidita dalla vita e dalle amare vicende che l’hanno provata. Come l’epilessia tenuta nascosta, la vedovanza precoce e il rischio della ‘macchia’ di non essere ariana nella percentuale di sangue richiesta dai vergognosi dettami della razza pura.

La lunga storia di momenti dolorosi e schiarite di cielo che accompagnano e caratterizzano il romanzo è apparsa come il cupo affresco della contemporaneità. Quasi che il mondo d’allora si fosse fermato lì, incancrenito. E tutto ritorna. Ritorna nelle lacrime -vere- del piccolo interprete che incarna Useppe sotto i bombardamenti romani di San Lorenzo, nel 1943: Useppe è figlio di un peccato non voluto e subìto da Ida per la prepotenza di un soldato tedesco ubriaco in cerca di una notte d’amore. Ritorna nelle sequenze di ore e ore e ore trascorse in cantina sotto i bombardamenti, e nell’esilio sotterraneo dove i colori sono sbiaditi in immagini grigie o seppiate come nelle foto dei nostri nonni.

È proprio quel che scorre, da troppi giorni e anni, sugli schermi di ogni casa. Vediamo nel film di Archibugi, nella narrazione della Morante, le nostre Kiev e Odessa, e Kerson e l’intera Ucraina. E Israele ferita a morte, e la Striscia di Gaza. E tutte le altre guerre che si stanno inseguendo da sempre.

E allora la Storia, la Storia ufficiale si è davvero fermata lì, aveva ragione Elsa. E da lì non avanza. Continua a inchiodare i suoi infelici protagonisti, a perpetuare lutto e dolore, angosce e violenze, pubbliche e private, in un grumo di dolore muto e inascoltato. Dove la tenacia testarda delle piccole donne come Ida, e quella dei suoi amati figli Nino e Useppe, ancora oggi non basta a salvare il mondo. A dare una risposta alle vittime del male. A annullare la feroce, spietata banalità di chi decide della vita degli altri.

Non c’è parola in nessun linguaggio umano capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte”. Questa frase accompagnava la pubblicazione dell’opera della Morante, che dedicava il suo libro ‘all’analfabeta per il quale scrivo’. Cioè anche e soprattutto agli innocenti, ai poveri, ai derelitti. ‘La Storia’, scritta in tre anni e pubblicata nel 1974, ebbe un seguito di lettori enorme. Nonostante il passaparola dei social fosse ancor di là da venire.

La sua autrice s’era però raccomandata con l’editore Einaudi di mettere l’opera in vendita a un prezzo contenuto. E aveva scelto come copertina il disegno in rosso di una vittima innocente: un bambino, abbandonato esanime su di un cumulo di detriti.

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