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Politica

COSÌ NO

GIUSEPPE ADAMOLI - 16/02/2024

meloniIl progetto dell’elezione diretta del premier nella sua ultima versione è solo una riforma per dare più stabilità ai governi come sostiene Giorgia Meloni?

No, è molto di più. Si tratta piuttosto di una riforma dello Stato che, oltre a cambiare la forma di governo, riduce di molto le funzioni del Presidente della Repubblica, mette il Parlamento nelle mani del premier, modifica la legge elettorale anche se rimanda la questione del premio di maggioranza ad un provvedimento ad hoc. Quest’ultima è una grave lacuna che ostacola un giudizio completo.

Una valutazione molto critica e bene argomentata è venuta anche da Giuliano Urbani, politico e politologo, già ministro e fondatore di Forza Italia con Berlusconi. “Sono convinto che una riforma che dia stabilità ai governi sia necessaria, anzi indispensabile. Ma così no, così non è altro che un ballon d’essai, fragile e sballottato fra le correnti in tempesta”.

In realtà, un modo per impedire le facili crisi di governo senza intaccare l’ossatura della Costituzione esiste ed è, come più volte sottolineato, la “sfiducia costruttiva”, in vigore in Germania, con la quale il governo può essere rimosso solo quando sia stato presentato il governo che lo sostituirà.

È evidente lo scambio fra questa riforma, targata Meloni, con quella di “Autonomia differenziata delle Regioni”, targata Salvini, con la conseguenza di mettere una gran fretta ad entrambi per non arrivare dopo il concorrente e magari essere “fregati” da accadimenti imprevedibili ma sempre possibili.

Il premierato, che crea uno Stato fortemente centralista da una parte, e l’Autonomia differenziata delle Regioni dall’altra, sono due assetti profondamente contraddittori con un modello, l’elezione diretta del premier che non esiste proprio in Europa.

In questi giorni si tira in ballo la riforma Renzi-Boschi del 2016. Giovi richiamare che essa modificava la struttura del Parlamento e non la struttura dello Stato. Quella riforma aboliva il Senato elettivo trasformandolo nel Senato delle Autonomie Locali. In sostanza era molto meglio della riduzione indiscriminata del numero dei deputati e dei senatori che i Cinquestelle avevano proposto e che il centrosinistra ha colpevolmente avallato insieme agli altri partiti nel segno del più becero populismo.

La propaganda governativa dica quel che vuole ma la verità è che al Presidente della Repubblica vengono tolte delle importanti funzioni rendendolo il “notaio della maggioranza a sua volta nelle mani del premier” e non più l’arbitro e l’equilibratore della vita della Repubblica, come hanno sostenuto i presidenti emeriti della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli e Giovanni Maria Flick.

Si vuole una modificazione all’ossatura dello Stato? Allora lo dichiarino apertamente e aprano un serio confronto con tutte le forze politiche. Una riforma di tale portata deve essere condivisa da almeno una buona parte delle minoranze, altrimenti è destinata a creare divisioni profonde e a fallire nella stagione referendaria.

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