Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Urbi et Orbi

AL CAPOLINEA

PAOLO CREMONESI - 15/03/2024

metroUna incombenza burocratica, di cui avrei fatto volentieri a meno, mi costringe a prendere la metro linea A sino al capolinea Anagnina. From coast to coast: da Battistini, l’hub che raccoglie quanti abitano a nord ovest della capitale, ad Anagnina appunto che è il punto di approdo di chi ha scelto di vivere ai Castelli o a Vermicino.

18 chilometri e 425 metri che i convogli percorrono in 35 minuti circa con un solo breve tratto in superficie nei pressi della stazione Flaminio. Per il resto un lungo viaggio nelle viscere della terra lontano dalle vestigia romane o dagli splendori barocchi della capitale ammirati dai bus turistici.

I romani doc (ammesso che ancora esistano) non prendono la metropolitana. La considerano da “sfigati”. Il mezzo di trasporto principe resta l’auto con i risultati che ben conosciamo. Ho amici che a distanza di anni ancora mi guardano stupiti quando racconto loro che uso i mezzi pubblici. Così tra le 450mila anime che i convogli bianco-rosso imbarcano ogni giorno, abbondano i turisti e ovviamente chi lavora: dai muratori rumeni alle badanti ucraine, dai negozianti indiani ai “latinos”, dagli studenti a qualche raro impiegato.

Salire sulla metro al capolinea ha il vantaggio di trovare subito posto a sedere. Speranza che svanisce già dopo la seconda fermata. I punti più a rischio sono le stazioni di interscambio ferroviario come Valle Aurelia, Flaminio e ovviamente Termini. Qui fiumane di persone si riversano nei vagoni a qualunque ora del giorno. La maggior parte non alza gli occhi dal cellulare. Credo di essere l’unico ad aver in mano un quotidiano cartaceo e mi sento osservato come si guarda una razza in via di estinzione. Comunque spesso non è nemmeno possibile leggere perché si viaggia come sardine.

Di fronte a me una gigantesca signora di colore dorme appoggiata al sostegno metallico. Incurante degli scossoni russa: magari avrà già alle spalle un’altra ora di bus dalla sua abitazione in qualche sperduta periferia. Due ragazze dell’est invece confabulano fitto ridendo: si scambiano indirizzi, mostrano foto della famiglia rimasta in luoghi lontani centinaia di chilometri. La fatica per ora non sembra scalfire i volti graziosi. Chissà cosa riserva loro il destino?

Spagna, Barberini, Repubblica sono fermate “pregiate”: vi salgono e scendono per brevi tratti quegli esponenti del mondo patinato che la maggior parte dei viaggiatori sogna guardando i cartelloni pubblicitari. Entrano due ragazze, bellissime, accompagnate da un giovane che a petto quasi scoperto mostra le iniziali del suo nome tatuate, riprodotte poi su una giacca di cashmere appoggiata casualmente alla spalla. Si guardano in giro a disagio come quelli dello spot “compagnia sbagliata” e la stazione dopo scendono rapidamente.

Ogni certo numero di convogli ce ne è uno che viaggia con i display e gli avvisatori acustici delle fermate guasti. Questo genera sempre effetti umoristici per i turisti che pensando di scendere a Ottaviano per raggiungere San Pietro sentono annunciare sgomenti “Colli Albani” o “Arco di Travertino”. Scatta allora la corsa degli altri viaggiatori a rassicurare gli ignari che non hanno sbagliato direzione ma che ogni tanto a Roma succede così.

Una mamma nomade con il bimbo in braccia chiede qualche spicciolo con scarsi risultati. Anziani anelano a posti a sedere fissando qualche studente che ostentatamente non alza gli occhi dallo smartphone. Man mano che ci avviciniamo ad Anagnina i passeggeri sono sempre di meno: un ragazzo va avanti indietro per i vagoni parlando ad un immaginario telefonino. Si arrabbia, inveisce, bestemmia non si sa contro cosa o chi nel generale imbarazzo.

Arriviamo al capolinea: una delle due scale mobili è rotta. In quasi tutte le stazioni della metro ce ne è sempre una fuori uso e non si capisce il perché. Si sale finalmente a “riveder le stelle” composte da uno scrostato parcheggio multipiano e uno squallido mercatino di vestiti e scarpe usate. Donne e uomini si affannano anonimi verso i bus o raggiungono le auto di chi è venuto a prenderli. Poco lontano skyline di palazzi abitati da centinaia di persone che ci vanno solo a dormire. Rimbalzano tra le mura i versi del poeta russo Evgenij Aleksandrovic: “In stracarichi tranvai/ accalcandoci insieme/ dimenandoci insieme/ insieme barcolliamo/ Uguali ci rende una uguale stanchezza/ Di quando in quando c’inghiotte il metrò/ poi dalla bocca fumosa ci risputa, il metrò”.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login