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Sport

SALVI, MA…

FABIO GANDINI - 26/04/2024

openÈ salvezza per la Pallacanestro Varese. Non ancora aritmetica: quando questo pezzo comparirà sulla nostra RMFonline, i numeri lasceranno per 36 ore ancora una teorica possibilità di patatrac, passibile di verificarsi nel match di domenica 28 aprile contro Treviso. Si tratta di un’evenienza davvero remota: la Openjobmetis dovrebbe perdere – in casa – contro i rappresentanti cestistici della Marca con uno scarto superiore ai 19 punti, rimettendo in tal modo in gioco Brindisi (ultima in classifica che dovrebbe vincere le due partite ancora rimanenti, così come i biancorossi perderle entrambe) in un’ipotetica classifica avulsa nella quale i prealpini avrebbero – in virtù dell’enorme passivo eventualmente incassato nel prossimo match – la peggior differenza canestri negli scontri diretti.

Mai dire mai, nello sport e dovendo fare i conti con una Varese tra le meno affidabili della storia, ma ora come ora, sospirando (o quasi) per lo scampato pericolo, appare più proficuo concentrarsi sul futuro, per il tramite di un indispensabile sguardo al passato prossimo.

Cosa dice la “scatola nera” della stagione? Forse e soprattutto che la squadra ha così sofferto per sfuggire alla retrocessione non tanto (o meglio: non solo…) per gli errori commessi nella scelta dei giocatori, come quasi sempre accaduto in questi anni di ristrettezze economiche che hanno costretto la società a operare soprattutto nel mercato delle scommesse e delle decisioni “vincolate”, quanto invece – a giudizio di chi scrive – in virtù di piccoli e grandi limiti sottesi alla filosofia manageriale e sportiva instaurata da Luis Scola, l’ex campione argentino che da quasi tre anni ha preso a cuore e gestisce Masnago e dintorni.

La sua Varese, se guardiamo agli ultimi due campionati, ha viaggiato a passo di gambero: spumeggiante e vincente nel primo, al netto della penalizzazione del caso Tepic, che l’ha costretta a ricacciarsi in gola il gusto dei playoff, claudicante, tormentata, incerta e molto poco incidente nel secondo. Metodo di gioco e impostazioni cambiate forse? No, entrambi identici: a cambiare sono state le persone.

E allora ecco il primo insegnamento: non c’è idea più forte di coloro che sono chiamati a interpretarla. El General (questo il soprannome di Scola quando calcava i parquet in canotta e pantaloncini) predilige e “impone” dall’alto un gioco veloce e basato sulle risultanze date dalle statistiche (individuali e collettive). Si tratta di un metodo molto rigido, nel quale gli allenatori hanno poco spazio di manovra: se comandano i numeri, loro comandano meno. Non possono decidere in autonomia di uscire dallo spartito, non possono cambiare le “regole” e soprattutto allenano il “materiale” tecnico che viene loro consegnato a seguito di un mercato dettato (anche qui…) dalle cifre.

Torniamo però a qualche riga fa: non esiste la fungibilità nello sport, arte nella quale è proverbialmente il genio del singolo a fare la differenza. E allora è stato sbagliato sottovalutare gli addii di giocatori come Markel Brown, Colbey Ross (sostituito degnamente solo a metà stagione con il campioncino Niko Mannion), Tariq Owens (la pezza, sempre infra-stagionale, è stata in questo caso l’onesto lavoratore Skylar Spencer) e Jaron Johnson: i citati sapevano applicare il “sistema” al meglio, rendendolo anche spettacolare, i giocatori di quest’anno no; così come è stato errato cambiare senza patemi il gm, cioè colui che i giocatori li sceglie, passando da Michael Arcieri al duumvirato Zach Sogolow e Maksim Horowitz, oppure decidere di fare a meno dello storico capitano, Giancarlo Ferrero, pensando che il suo ruolo umano più che tecnico non avesse un valore fondamentale all’interno delle dinamiche.

E poi il coach. Se è vero che chi dirige dalla panchina ha a Varese oggi un’importanza marginale rispetto al passato, lo è anche il fatto che affidarsi a un totale esordiente sia del ruolo che del contesto – il tanto bistrattato (dal pubblico, che lo ha fischiato in sovrabbondanza, Tom Bialaszewski – ha spesso esposto la squadra a subire senza reazione le trappole tattiche disseminate dagli avversari. L’esperienza non si insegna e nemmeno la capacità di adattamento alle difficoltà: rispondere con un intransigente “è l’idea che conta, sono gli altri che devono adattarsi a noi e non il contrario”, ha pesato non poco sui risultati.

Tanti spunti di riflessione, speriamo, per il comandante in capo, verso il quale la fiducia rimane doverosamente massima. Perché una verità inconfutabile in realtà esiste: senza Luis, fine dei giochi.

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