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Società

CHIESA, SOCIALISMO E LIBERALISMO

LIVIO GHIRINGHELLI - 15/06/2012

papa Leone XIII

La Chiesa con la sua dottrina sociale non è mai stata tenera col socialismo-comunismo già dai tempi di Pio IX. Nell’enciclica Qui pluribus (9 novembre 1846) il Pontefice lo definisce “sovvertitore dei diritti, delle cose e della proprietà di tutti e dissolvitore della umana società”. Nella Nostis et nobiscum dell’8 dicembre 1849 imputa loro di sovvertire ogni principio di autorità e di proprietà; coll’enciclica Quanta cura (8 dicembre 1864) ritiene esiziale una dottrina secondo la quale “la società domestica o la famiglia riceve dal solo diritto civile ogni ragione di sua esistenza“.

Un postulato presentato al Concilio Vaticano I parla dello sradicamento della fede e del sovvertimento dell’intero ordine sociale, che ne deriva e si potrebbe continuare con Leone XIII: l’enciclica Quod apostolici muneris del 28 dicembre 1878 così li presenta: impugnano il diritto di proprietà stabilito per legge di natura per cupidigia dei beni terreni, predicano la perfetta uguaglianza di tutti nei diritti e negli uffici, disonorano l’unione naturale dell’uomo e della donna.

 La Rerum novarum condanna la comunanza dei beni propugnando il diritto di proprietà stabile, di diritto naturale e sancita dalle leggi umane e divine. Leone XIII vi tiene una via intermedia tra liberismo e interventismo acceso, non si àncora anacronisticamente al passato, fa conto della realtà in movimento e più che sull’alleanza dei governi punta sull’appoggio dei popoli. Al fondo si tratta di concezioni antropologiche opposte.

Ma alle radici del male stanno le libertà moderne, che puntano sull’individualismo senza limiti nella ricerca esclusiva dell’interesse e del potere , sulla relegazione della religione nella sfera privata con separazione tra Chiesa e Stato; la solidarietà sociale si ritiene una conseguenza automatica delle iniziative individuali. Per un verso si celebra al massimo grado la libertà di coscienza e di espressione, per l’altro, sul versante economico, il potere di autoregolazione del libero scambio sui mercati senza vincoli e regole oppressive. È il liberalismo che discende dalla Riforma, dal libero esame, dall’affermazione di immanenza, dagli esiti trionfali della Rivoluzione per i cattolici. E il socialismo è filiazione di detto movimento.

Ecco che Leone XIII con l’enciclica Immortale Dei del 1° novembre 1885 individua la causa dei mali sociali negli errori del laicismo e dell’ateismo effettivo dello Stato, nella illimitata libertà di coscienza e di culto e similmente nella sconfinata ampiezza della libertà di pensiero e di stampa. Nell’Enciclica Libertas del 20 giugno 1888 il Papa rileva in termini negativi: “il principio capitale del razionalismo è la sovranità dell’umana ragione, che ricusando la debita obbedienza alla ragione divina ed eterna, e proclamandosi indipendente, si fa a sé medesima principio supremo e fonte e criterio della verità.

Ora allo stesso modo i seguaci del liberalismo pretendono nella vita pratica non esservi potere divino, a cui debba obbedirsi, ma ognuno essere legge a se stesso”, onde la funesta massima della separazione dello Stato dalla Chiesa. Colla Sapientiae christianae del 10 gennaio 1890 Leone XIII precisa che è dovere della Chiesa di non farsi serva dei partiti politici, né di piegarsi in modo servile alle esigenze mutabili della politica. La Chiesa è indifferente alle varie forme di governo e alle istituzioni civili degli Stati cristiani, purché vi sia rispettata la religione e la morale cristiana. Il principio di fondo è che la libertà ha senso nella sottomissione all’autorità della verità, che viene da Dio per mezzo della Chiesa, non può provenire dalla natura. E la concezione limitata di democrazia per Leone XIII è quella di actio benefica in populum.

Venendo al Concilio Vaticano II la Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa (1965) suggella la riconciliazione con la concezione liberale dei diritti umani, dopo che Giovanni XXIII con la Pacem in terris ha introdotto in modo esplicito detti diritti inviolabili come riferimento del magistero della Chiesa. E il Concilio li colloca nel contesto dell’autorità dei pubblici poteri ricollegandosi alla tradizione tomista, che riconosce la consistenza propria della natura umana.

Giovanni Paolo II comunque sottolinea con la Veritatis splendor (1993) che “in alcune correnti del pensiero moderno si è giunti a esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori; sono state attribuite alla coscienza individuale le prerogative di una istanza suprema del giudizio morale; si è indebitamente aggiunta l’affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza, tanto che si è giunti a una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale” (n. 32). Invece “è comunque sempre dalla verità che deriva la dignità della coscienza: nel caso della coscienza retta si tratta della verità oggettiva accolta dall’uomo; in quello della coscienza erronea si tratta di ciò che l’uomo sbagliando ritiene soggettivamente vero” (n.63).

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