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Politica

IL PIATTO PIANGE

GIUSEPPE ADAMOLI - 20/12/2024

riformeIl 2024 è stato il secondo anno completo di Giorgia Meloni al potere con il suo governo di destra-centro. Preferisco questa qualifica a quella di “coalizione dei conservatori” che non significa molto nella storia politica italiana.

Le riforme di struttura erano state il biglietto da visita di Meloni che aveva solennemente dichiarato: “Non siamo qui per l’ordinaria amministrazione ma per dare una forte stabilità politica all’Italia e soprattutto per cambiarla in meglio con una profonda opera riformatrice”.

Sulla stabilità, promessa mantenuta. E penso che non accadrà nulla di eclatante che possa metterla a repentaglio anche per la debolezza delle opposizioni. Meloni si muove poi con destrezza e astuzia in sede europea ed internazionale tenendo il piede in più scarpe e approfittando della crisi politica di Francia e Germania.

Sulle riforme strutturali è tutto un altro discorso e davvero il quadro è nero. Il primo pesante errore è stato lo scambio di “zone di influenza istituzionale” fra le tre forze di maggioranza. Sia chiaro, ogni governo di coalizione si regge su dei compromessi che sono necessari in ogni democrazia. Ma la spartizione delle riforme fra Area di governo per Meloni; Autonomia regionale differenziata per Salvini; Regole giudiziarie per Tajani, si è già dimostrata foriera di gravi disfunzioni.

Una domanda viene prima di tutte le altre: la riforma del premierato con l’elezione diretta del capo di governo, inesistente in ogni democrazia e abrogata in Israele dopo qualche anno di insuccessi, dove è finita? Non soltanto mancava ogni indispensabile norma sul modo di elezione del premier ma apriva sostanziali interrogativi sulle restanti funzioni del Presidente della Repubblica e sul ruolo dello stesso Parlamento.

Per l’autonomia differenziata delle Regioni ha provveduto la Corte costituzionale a metterne molte parti in discussione. Malgrado questo la Cassazione ha dichiarato ammissibile il referendum richiesto da ben più di un milione di elettori. La parola toccherà dunque ai cittadini? La risposta è ancora incerta in attesa dell’iniziativa del governo e della decisione definitiva della Consulta.
Il mio parere, avendo seguito per anni la vicenda delle Istituzioni regionali in una posizione non marginale, è che quella materia costituzionale vada tutta ripensata. Il rammarico è che la Consulta abbia dovuto fare supplenza del Parlamento per rendere la riforma almeno in parte accettabile. In realtà è la riforma costituzionale del 2001 (peraltro voluta e approvata dal centrosinistra) che andrebbe sostanzialmente modificata riportando allo Stato funzioni nazionali che non possono essere allocate nelle Regioni.

La riforma della Giustizia sembra quella che ha qualche possibilità in più di essere parzialmente attuata anche perché spezzettata in normative diverse ciascuna delle quali può avere delle ragioni valide. Ma qui il problema è un altro: se si dà, come si sta dando, l’impressione di voler indebolire l’indipendenza della magistratura anche le buone intenzioni faranno una brutta fine.
Insomma, il piatto delle riforme piange amaramente.

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