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Cultura

MAESTRI DISPERATI

ROMOLO VITELLI - 29/06/2012

Il “maestro di Vigevano” nel film di Elio Petri

Cinquanta anni fa, nel mese di maggio del 1962, Einaudi pubblicò il romanzo “Il maestro di Vigevano”. “È un libro fuori dal comune, con una forza poetica dentro, una forza di disperazione, una visione assolutamente nera dell’umanità, che riesce a diventare visione poetica. Lo pubblicheremo senz’altro e sarà un avvenimento”. Così scriveva Italo Calvino a Lucio Mastronardi, parlando del suo “Maestro di Vigevano”. L’opera fu un successo editoriale, vendette centomila copie, e fu anche un grande avvenimento culturale. Vinse numerosi premi e il regista Elio Petri ne ricavò un film con il compianto Alberto Sordi, come protagonista principale.

A scrivere il libro era stato un giovane disperato e intriso di pessimismo nato da madre lombarda maestra elementare, e da padre abruzzese ispettore scolastico, messo anticipatamente a riposo per le sue idee politiche antifasciste. A causa del carattere spigoloso e poco incline alla disciplina, il percorso scolastico del giovane Mastronardi risultò accidentato e difficoltoso. Dopo varie vicissitudini e una momentanea iscrizione al ginnasio Cairoli di Vigevano, Lucio passò alle magistrali e conseguì da privatista il diploma di maestro elementare. Mastronardi insegnò per un breve periodo in forma precaria come supplente poi divenne insegnante di ruolo con incarichi nelle scuole elementari inizialmente a Casorate Primo e poi a Vigevano.

Il suo carattere instabile e litigioso gli creò continui problemi con colleghi e superiori, ma anche con la gente di Vigevano. Un giorno avendo oltraggiato un ferroviere venne arrestato e condannato a due anni di manicomio criminale in contumacia; fu dispensato dall’insegnamento e relegato in una segreteria. In seguito riprese a insegnare, ma presto ebbe uno scontro durissimo con il direttore didattico di Abbiategrasso, che gli costò una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale, la prigione: tre giorni nel carcere di San Vittore, quattro mesi con la condizionale, ma anche una profonda prostrazione che farà peggiorare il suo già instabile equilibrio mentale. Nel 1974 tentò il suicidio gettandosi dal quinto piano dal balcone di casa; ma si schiantò sul bagagliaio di una Fiat 128; ricoverato in ospedale vi rimase per cinque mesi. Agli amici che andarono a visitare disse: “La prossima volta non sbaglio”. La mattina del 24 aprile 1979 uscì per una passeggiata, ma non fece più ritorno a casa. Il 29 aprile, il suo corpo esanime venne ritrovato da un pescatore sul greto del fiume Ticino. Alcuni passanti riferirono poi di averlo visto più volte affacciarsi sul ponte del Ticino. Questa volta lo sventurato scrittore non aveva sbagliato.

Oggi pochi ricordano il romanzo e il suo autore: lo scrittore vigevanese, “insegnante controvoglia”. Quelli che hanno conosciuto la vicenda narrata nel romanzo la ricordano più per l’interpretazione che ne ha dato l’attore Alberto Sordi che per Lucio Mastronardi, autore dell’omonimo romanzo. Grazie alla comicità grottesca del film, moltissimi conoscono le vicende del maestro Mombelli senza avere mai letto il libro. Al centro della vicenda ci sono le difficoltà economiche e le frustrazioni di un maestro nella provincia lombarda degli anni del boom economico. Il maestro di Vigevano campa grazie alle lezioni private, ma la moglie ambiziosa lo costringe a lasciare il lavoro d’insegnante e a investire il denaro della liquidazione nella creazione di una piccola fabbrica di scarpe. Controvoglia, finisce per tradire la sua “missione” e si trasforma innaturalmente in un “padroncino,” come uno dei tanti imprenditori vigevanesi che egli disprezzava. Ma quella scelta di vita che non poteva essere la sua lo condurrà alla rovina. La moglie morirà, ma dopo avergli confessato che Rino è figlio di un altro. Il figlio finirà in riformatorio. Infine il maestro Mombelli, rimasto completamente solo, ritroverà la forza per risollevarsi e tornare all’insegnamento, recuperando il posto che gli era un po’ più congeniale.

In sintesi questa è la trama dell’opera. Il romanzo e l’autore – come abbiamo già ricordato – sono quasi scomparsi dalla memoria collettiva e il ricordo è mantenuto e alimentato solo da una sparuta schiera di estimatori. Uno di questi, Riccardo di Gennaro, a lungo giornalista di la Repubblica e del Sole 24 ore, ha pubblicato una ricca e completa biografia di Lucio Mastronardi, in occasione del cinquantesimo anniversario de “Il maestro di Vigevano”: “La rivolta impossibile” (Ediesse Roma, pagine 200, euro 10). È una biografia che fa una ricostruzione puntuale ed emozionante delle vicende dello scrittore vigevanese. È un saggio che consiglio vivamente di leggere a quanti hanno amato e amano Mastronardi o vogliono per la prima volta accostarsi a questo sfortunato e triste scrittore.

A me però, come ex-insegnante, non interessa tanto analizzare o recensire questa bella biografia, altri lo hanno fatto, né tratteggiare le qualità culturali del celebre romanzo, né la produzione letteraria complessiva di Mastronardi, quanto piuttosto vedere quanto resti, nel cinquantesimo della pubblicazione del suo romanzo più famoso, di quel mondo della scuola delineato grottescamente, ma così mirabilmente dalla comicità esilarante e scoppiettante dell’autore, e viva, per certi aspetti, ancora nella scuola italiana al giorno d’oggi.

 Perciò vorrei iniziare a riflettere sulla condizione dei docenti, che emerge dal famoso “consiglio di classe,” così magistralmente, paradossalmente e comicamente descritta nella pagina famosa del romanzo, dove gli insegnanti riuniti parlano solo di coefficienti e di scatti di anzianità, di cui riporto qui di seguito però solo pochi stralci, per mera opportunità didascalica: “( … ) – Diamo ora la parola al signor maestro Pisquani; il capo della Snuse, – disse il direttore.
– Cari colleghi! Care colleghe! Io sarò ricevuto dal sottosegretario all’Istruzione, onorevole Badaloni. (…) Ora vi dirò quello che esporrò all’onorevole sottosegretario alla Pubblica Istruzione. I maestri elementari che rappresento io, vogliono: capo primo: entrare in ruolo col coefficiente 229 anziché col coefficiente 202! Secondo: rimanere nel coefficiente 229 non diciotto anni, sibbene nove. Portare le classi di stipendio nello stesso coefficiente da quattro a venti, con scatti raddoppiati. Portare il coefficiente 325 dal nono anno di servizio anziché, come ora, dal diciannovesimo; e quindi sostituirlo col coefficiente 432, che sarebbe il coefficiente straordinario di un impiegato di gruppo A grado VIII. Inoltre chiedo che la pensione venga concessa dopo dieci anni di servizio, purché il maestro abbia dieci ottimi di qualifica. Si alzò una collega. – Faccia otto ottimi e due distinti! – Io l’accontento, collega: otto ottimi e due distinti. Poi chiedo che ci sia concessa la quattordicesima (…) Inoltre chiedo che ai maestri elementari, che hanno combattuto in Africa, dal giugno 1940 al 27 settembre 1943, sia concesso l’abbuono di almeno dieci anni di servizio… – E io che ho combattuto in Russia allora ? – gridò un collega. – Chiederò inoltre all’onorevole che gli stipendi dei maestri siano aumentati del 33,1 per cento per quelli del coefficiente 229. Del 43,17 per cento per tutti gli altri. Cari colleghi, vi invito tutti a iscrivervi al sindacato Snuse! (…) Questo è un ricatto! – urlò il collega Pagliani. – Iscrivetevi al sindacato Snase invece! – Quieta non movere et mota quietare! – disse il direttore calmandoli (…)

“Aveva un bello scrivere Giovanni Papini il 30 di giugno dell’anno del signore 1909, a proposito degli insegnanti e del loro “status” – dice Aldo Ettore Quagliozzi, in ”Memorie di un insegnante”. “( … ). È vero che i professori dovrebbero essere pagati di più, ma è falso, falsissimo e appena degno del più grossolano materialismo storico, che la questione della scuola sia soltanto questione di quattrini. È anche e soprattutto questione d’anima e di educazione. Ripeti e ripeti, anni dopo anni le medesime cose, e i professori diventano assai più imbecilli e immalleabili di quel che fossero al principio e non è dir poco. Poveri aguzzini acidi, annoiati, anchilosati, vuoti, seccati, angariati, scoraggiati, che muovono le loro membra ufficiali e governative soltanto quando si tratta di avere qualche lira in più( … )”.

Certo ha senz’altro ragione Papini: “La scuola soprattutto è questione d’anima e di educazione,” e a dargli ragione, quasi sessant’anni dopo interviene il grande latinista Concetto Marchesi: “ La scuola dipende da colui che vi insegna (…). Si può ridurre il pane al maestro, si può levargli anche la libertà, ma non la facoltà di penetrare nell’animo dell’alunno e richiamarlo alla luce e alla gioia della conoscenza. Gli si lasci soltanto in mano il catechismo e ne farà uno strumento di scienza e di nobiltà, se non è un pitocco o un servo”. D’accordo, però qui si parla di “maestri,” di “veri educatori,” di “missionari,” specie rare, ma la gran massa degli insegnanti non rientra purtroppo in queste categorie. La passione per l’insegnamento è una condizione necessaria, essenziale per operare proficuamente, ma bisogna pur mettere gli insegnanti nelle condizioni minime per operare, assicurando mezzi e strutture per far fronte alle sfide di una società del Terzo Millennio. E se è vero com’è vero che sono “i buoni insegnanti che fanno una “buona scuola”, allora bisognerà concentrare tutti gli sforzi sul reclutamento, la selezione e la formazione del personale docente ad ogni livello, premiando e incentivando parimenti merito, efficienza, produttività, equità e responsabilità nella scuola.

Dal “Maestro di Vigevano” molte cose sono passate e nei consigli di classe ben altri sono i discorsi degli insegnanti rispetto a quelli che riproduce in modo caricaturale lo scrittore Lucio Mastronardi. Oggi la scuola pubblica vive una situazione di sfascio, di precarietà e di grave crisi. Docenti e alunni sono stati costretti, dai pesantissimi tagli ai bilanci, persino a portarsi la carta igienica e la carta per le fotocopie. Lo stato giuridico dei docenti purtroppo non è cambiato di molto anzi è per certi aspetti peggiorato rispetto ai tempi del “Maestro di Vigevano;” e presenta un’incredibile staticità. L’insegnante esce dalla carriera più o meno nello stesso stato in cui vi è entrato, senza mai aver cambiato responsabilità e mansioni (tranne che in casi non rilevanti e comunque e senza aver visto aumentare la sua retribuzione in modo considerevole).

Il sociologo De Rita, in un’intervista a l’Unità, parlando dei docenti ha affermato che “sono per lo più demotivati, sviliti nel proprio status sociale e non riconosciuti nella loro autorevolezza e professionalità, sottopagati e ridotti ad impiegati”; e ha aggiunto che il loro prestigio sociale si è molto indebolito anche a causa degli stipendi trai più bassi d’Europa, concludendo che se la scuola italiana vuole avere ancora un futuro dovrà mettere mano alle riforme e soprattutto “deve rimotivare e riqualificare i propri insegnanti, ridando spazio alla valutazione, alla meritocrazia, al merito, come fece il ministro Berlinguer”. È bene non dimenticare che il lavoro dell’insegnante tra i più affascinanti, ma anche tra i più complessi, è diventato in questi ultimi anni di difficilissima gestione per una molteplicità di eventi che si intrecciano tra loro. La docenza è una professionalità specifica che si realizza nel rapporto diretto con gli alunni; il riconoscimento e la valorizzazione della professionalità restano la risorsa primaria per l’intero sistema dell’istruzione e della formazione.

Il lavoro dei docenti, nell’emergenza di nuovi bisogni sociali e culturali, va riconosciuto attraverso incrementi retributivi, ma soprattutto tutelato con una rivalutazione e riqualificazione delle competenze e della loro efficacia educativa. Questi a nostro avviso sono i presupposti indispensabili ed irrinunciabili per favorire l’affermarsi di un nuovo prestigio sociale legato alla docenza. L’innovazione didattica e la sperimentazione di percorsi, modelli e indirizzi sono una risorsa indispensabile per il miglioramento della qualità della scuola, una risorsa che si fonda sullo spirito di ricerca insito in ogni professione che vuole essere all’altezza dei problemi e che affronta quotidianamente, elevando la qualità dell’offerta formativa e fornendo parimenti risposte adeguate ai bisogni dei giovani d’oggi.

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