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Editoriale

IL PROCESSO CHE CONTINUA

MASSIMO LODI - 07/09/2012

L’8 settembre del ’43 (e poi non solo del ’43: l’8 settembre simbolicamente “tout court”) è la data dell’imbroglio. Peggio: del lutto. Peggio ancora: della vergogna. Perché significò il tradimento degl’italiani verso i tedeschi, la vendetta dei tedeschi, la tragedia degl’italiani. L’angoscia della guerra civile, il tormento di drammi fratricidi, l’incapacità a comprendere come tutto questo potesse accadere. Come poté accadere?

Gl’italiani tradirono i tedeschi non potendo fare a meno di tradirli. C’era un Paese da salvare, e il prezzo del salvataggio non aveva importanza: ne era accettabile anche il più alto. Si decise di pagarlo. Ma si sbagliò il modo. Gl’italiani che comandavano tradirono gl’italiani che obbedivano. Soldati lasciati senza direttive e protezione, cittadini lasciati senza informazioni e regole, lo Stato lasciato a se stesso e allo sbando. Agli occhi dell’ex amico divenutoci nemico apparimmo consequenziali alla nostra cinica inclinazione, quella di voltare gabbana d’improvviso. La mattina del giorno in cui fu firmato l’armistizio, Badoglio rassicurò l’ambasciatore di Hitler a Roma -dandogli la sua parola di militare d’onore – che un armistizio non l’avremmo mai firmato. Difatti.

E però i tedeschi avevano già tradito, e di gran lunga, assai prima che noi li tradissimo. Per esempio tradirono quando nel ’39 invasero la Polonia aprendo una guerra che l’alleanza con l’Italia non prevedeva che si aprisse in quel momento. Tradirono quando marciarono sulla Russia e quando attaccarono gli Stati Uniti: nessun accordo aveva preceduto le decisioni. Furono, si capisce, tradimenti meritati, dato il contenuto dello scellerato Patto d’acciaio. E altrettanto meritato si rivelò il voltafaccia cui si trovarono di fronte i nazisti. Ma il guaio fu che la ricaduta venne patita da chi era rimasto estraneo alle decisioni e alle controdecisioni, e lo si obbligò a subirle: gli arruolati nell’esercito, gl’inermi cittadini.

Morì allora (come poteva non morire?) l’idea di patria. Un’idea di patria che aveva assunto contorni ben lontani dall’idea di patria risorgimentale: la patria tronfia e ingannatrice propagandata dal fascismo, la patria svilita e delusa dalla monarchia, la patria cronicamente incapace d’essere la patria di tutti e pronta di volta in volta ad essere la patria di qualcuno. Un’idea di patria riscattata dal sacrificio dei combattenti per la libertà, e però anche loro – subito dopo il conseguimento dell’obiettivo – divisi da contrapposizioni non solo ideologiche e non solo politiche. L’8 settembre innescò un processo di disgregazione che ogni successivo 8 settembre si pensò in via d’ultimazione o, con il passare del tempo, finalmente ultimato. Invece sembrerebbe (sembra) proprio di no: quel processo continua, in altre forme e sotto diverse spoglie. Ma continua. L’idea di patria ci rimane estranea, il concetto di patrioti resta un’astruseria, la patria e i patrioti figurano ormai neppure come categoria sportiva perché perfino su questo ci dividiamo. Ed è il massimo, rifiutare perfino di contentarsi del minimo.

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