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Opinioni

DAL REVISIONISMO AL ROVESCISMO

FRANCO GIANNANTONI - 11/11/2011

Avevo davanti agli occhi in queste giornate funeste (faccio un esempio unicamente per gli immemori), l’alta, rigorosa e purtroppo dimenticata figura di Giovanni Pirelli, primogenito della grande famiglia industriale, nato a Velate di Varese nel 1918 e vissuto per anni (prima di morire bruciato dentro una macchina nel 1973) in una bella casetta di Bobbiate aperta sulla campagna, grande partigiano nel Pavese e poi in Val Chiavenna con il nome di “Pioppo” una volta rientrato, lui sottufficiale degli alpini, dal macello della Russia dove vide cadere il suo più caro amico.

Intellettuale, storico alla scuola di Chabod all’Istituto Croce di Napoli, Giovanni Pirelli, scrittore di storie per l’infanzia (struggente quella dei bambini d’Algeria nella sanguinosa guerra d’aggressione del colonialismo francese), saggista e autore di quel monumento alla memoria che è stato ed è “Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana” per Einaudi con Piero Malvezzi, avrebbe ben meritato (e con lui beninteso altri) i giardinetti della Città Studi di viale 25 aprile ma la Giunta comunale ha pensato bene, all’unanimità, di raccogliere il suggerimento dell’Assessore all’ambiente Stefano Clerici di area AN, in linea con la delibera della Circoscrizione n. 1 di sei anni fa (assunta all’unanimità, senza il voto del PD assente), e optare per Giovanni Gentile, filosofo, fascista anche dopo il 25 luglio del ‘43 quando sarebbe stato possibile compiere facilmente un passo indietro. Gentile non lo fece e, al contrario, mentre i vagoni piombati partivano per Auschwitz carichi di innocenti e di ebrei, si spese propagandando i bandi di arruolamento per l’esercito di Rodolfo Graziani “il macellaio” di Addis Abeba.

Per completare l’opera con un gesto di squisita sensibilità, senza che s’alzasse un mormorio di disapprovazione dal preside Salvatore Consolo, dal corpo docenti, dagli studenti, l’iniziativa è stata presentata al Liceo Classico “Ernesto Cairoli” proprio nell’aula dove campeggia la targa in memoria del professor Pio Foà, docente di greco e latino fra il ’37 ed il ’38, ebreo, catturato coi figlioletti Enrica e Giorgio di sedici e di undici anni sul Monte Olimpino di Como e “gassati” fra l’11 e il 15 dicembre nel campo di sterminio di Auschwitz.

Amarissima storia questa di Varese che suggerisce due temi per chi non li avesse ancora avvertiti: se da una parte si è quanto meno immeritevoli cittadini della Repubblica, nata dalla Resistenza, nel compiere l’oltraggiosa provocazione, dall’altra continua imperterrita l’opera demolitrice della nostra memoria, suffragata se ce ne ancora bisogno dall’incredibile e maldestro commento del sindaco leghista Attilio Fontana che ha invitato tutti a smetterla con questa diatriba ideologica “fascismo-comunismo” e semmai pensare a lavorare per il bene comune a cui ci chiama pressantemente “il popolo sovrano”.

Il progetto, al di là dei micidiali fuochi d’artificio per confondere le idee, è squisitamente “politico”.

Oggi il revisionismo è diventato una moneta corrente, ormai nella versione estrema, quella “rovescistica”, fase suprema della strategia del massacro storiografico. Come è noto ci sono approcci opposti e confliggenti per mettere mano alla storia e per tramandarne il messaggio.

Uno è quello classico, un atto dovuto, ricco di novità, foriero di continui avanzamenti ed approfondimenti. Si trova in archivio un documento nuovo, lo si esamina, lo si unisce agli altri, lo si interpreta, lo si utilizza o lo si cestina in base alle regole sacre che guidano la ricerca scientifica e si va avanti. È il compito assoluto dello storico.

L’altro, invalso negli ultimi due decenni nel Paese come un morbo molesto, è quello di plasmare la storia contemporanea ad uso politico e di parte sino a ridurla nelle sue componenti di verità, violentandola: così l’intitolazione a Giovanni Gentile da parte di pubblici amministratori (quale il valore di riferimento per gli studenti?); così l’operazione condotta con impagabile ostinazione da Giampaolo Pansa per citare il caso più eclatante di questi ultimi anni che, senza alcun rispetto per i più elementari principi del lavoro storiografico, marcia in direzione di un sistematico ribaltamento di giudizio sul ’43-’45.

La vicenda Gentile di Varese e la demolizione storiografica compiuta con la penna su giornali, periodici, libri, sono aspetti di una stessa realtà: la pianificazione politica di voler azzerare lo scenario storico nazionale, dal Risorgimento alla Resistenza, per poi riempirlo, in una società distratta da interessi effimeri, costruiti con meticolosa improntitudine, di contenuti distorti per derivarne una mistura esplosiva frutto dell’impasto imperante di populismo plebiscitario, di assoluta mancanza di rigore etico e di moralità.

Onorare il fascista Giovanni Gentile utilizzando in un’area scolastica nella targa commemorativa termini riduttivi, oscuri e devianti come “guerra civile” (Salò non era Stato riconosciuto se non dal Reich e neppure dalla Santa Sede) e “assassinato” (era la guerra di Liberazione) servono a sostenere che i partigiani, i comunisti (ecco il bersaglio sotteso) hanno nascosto, nell’ipotesi più favorevole, una fetta della Resistenza. I comunisti, intesi come classe politica, ma anche i comunisti nelle vesti di storici e di intellettuali.

Dunque, mentre riappare dalle tenebre il volto bonario del filosofo Gentile, assolto in questi giorni in pompa magna e con vertiginose arrampicate sugli specchi anche da studiosi nostrani per motivi che si possono intuire da Fabio Minazzi a Robertino Ghiringhelli a Raimondo Malgaroli (“ma cosa volete, fu un fior di riformatore”, questo il réfrain della bottega dominante per non disturbare il manovratore; unica eccezione il professor Giuseppe Armocida che ha invitato a “soprassedere” in un momento di cautela e di riflessione), ecco farsi strada un’altra volta ancora la Resistenza cancellata e negata.

Dall’alto delle loro migliaia di copie di libri venduti e di busti e/o targhe e/o giardinetti scolastici allestiti in ogni dove, i “rovescisti” irridono agli accademici e ai docenti pignoli, invidiosi magari del loro successo (vedi l’attacco dozzinale dell’assessore Clerici al professor Enzo Laforgia dell’Istituto Storico della Resistenza di Varese), i quali – niente di meno – gradirebbero vedere le note a piè di pagina. Ma le note non sono altro che la possibilità offerta al lettore – aveva ricordato in un suo recente saggio lo storico torinese Angelo D’Orsi – “di verificare quello che scriviamo se non vogliamo restare nel regno della fiction (…). Per i “rovescisti” questo è invece esercizio inutile. Evviva come diceva Benedetto Croce, con un filo non troppo celato di ironia, le “pseudo storie”.

Nulla di nuovo sotto il sole, in un certo senso.

L’intitolazione del giardinetto a Giovanni Gentile è la conferma di come l’azione rovescistica funzioni al di là della falsificazione della storia (il filosofo ucciso dai GAP, grande uomo di cultura e solo in secondo piano quasi non contasse, fascista e repubblichino) affermando una totale perdita di significato della storia stessa e la nascita di una specie di senso comune nel quale c’è posto per tutti, con l’arena storiografica (compresa la posa di una targa) trasformata in un infinito spettacolo in cui la ricerca diventa opinione (“avete detto la vostra, ora diciamo la nostra”) e tutte le opinioni hanno la stessa legittimità.

L’attacco alla Resistenza e all’antifascismo e, in vero, alla stessa fondazione della Repubblica e alla Costituzione, sfidando la storia e cercando di smussare con rozzezza ed arroganza, i tratti della stessa, è non solo fastidioso ma offensivo. Ma tant’è: nel clima di deriva pseudostorica (cito Croce) tutto si può dire e fare impunemente.

Come si può “giocare” coi nomi, alla moda dell’assessore “area Alemanno” che, per affermare in qualche modo la legittimità della scelta di Gentile e allontanare fastidiosi fantasmi, butta lì, come fosse alla tavola del lotto, il nome di Renato Guttuso. Al quale viene intitolato il viale sterrato da piazza della Motta a Villa Mirabello. Vedete signori di cosa sono capace? Equilibrismo puro. Un fascista e un comunista “nostrano”. Pari e patta. Giovanni Gentile e Giulio Preti, per l’appunto, come ci ha ricordato il primo cittadino.

Nella foto: Giovanni Pirelli

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