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Ambiente

L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

ARTURO BORTOLUZZI - 11/11/2011

 

Un gruppo di volontari della Protezione Civile di Varese

Ci vuole grinta nel pretendere le cose giuste e non tollerare più le cose non tollerabili. Bisogna tornare ad essere responsabili e forzare la politica in questo senso. Il cittadino deve smetterla  di delegare alla politica, ma deve essere protagonista e rivendicare gli spazi che gli sono attribuiti dalla legge. Nel dibattito sulle recenti disastrose alluvioni occorre non solo protestare e accusare, come si sta facendo, contro una ormai cronica inadeguatezza di interventi e di fondi stanziati per la salvaguardia del territorio. È opportuno anche comprendere come debbano essere cambiate delle abitudini estremamente nocive che come si dirà sono una concausa di eventi preoccupanti e distruttivi come quelli dei giorni passati.

La protezione civile nel Varesotto dovrebbe farsi sentire di più, avere una guida più ferma e programmatica oltre che maggiori fondi dallo Stato. Nei pochi momenti in cui ho dato una mano nell’ambito della protezione civile locale, mi si sono resi evidenti, da una parte, l’entusiasmo degli operatori, dall’altra, una difficoltà dei Comuni ad organizzarsi a livello di ambito e a pretendere dalla Provincia la redazione di piani di azione insieme a strumenti di intervento (da motoscafi a stivali).

Non si possono affrontare solo con gli strumenti di intervento i disastri provocati dalle perturbazioni, ma occorre pretendere anche di muoversi con piani convincenti e ben strutturati coinvolgendo anche le università del territorio. Più che curare occorre allora prevenire. A livello nazionale certamente non si brilla di efficienza.

Nonostante le indicazioni della Commissione De Marchi per la sistemazione idraulica e la difesa del suolo, istituita nel 1966 dopo le alluvioni di Firenze e di Venezia, i governi succedutisi non hanno operato con sufficiente efficacia in questo importante settore. Oggi la situazione è ancora più preoccupante. Ad esempio, i fondi per la prevenzione del dissesto idrogeologico, per un totale di cinquecento milioni di euro pare siano evaporati nella finanziaria 2012.

Ma quali che siano gli impegni economici (La Regione Lombardia con il Ministero dell’ambiente hanno appena stanziato milioni di euro per prevenire le frane), essi saranno sempre inadeguati a fronte dei parossismi climatici innestati da riscaldamento globale di cui è responsabile un uso eccessivo dei combustibili fossili.

Le ormai famose bombe d’acqua che liquefanno in un attimo le pendici dei monti provocando vittime e immensi danni, non sono un fenomeno naturale consueto in autunno e i collegamenti con il global warning attendono conferma. A parte le posizioni dell’ONU, basterebbe soffermarsi sull’indagine conoscitiva del Senato nel 2005, in cui si sostiene che “negli ultimi dieci-quindici anni vi è stato un aumento degli episodi di precipitazioni a carattere intenso, ma di breve durata, mentre in precedenza esisteva una prevalenza di episodi di bassa intensità ma prolungati nel tempo”.

Quali che saranno le provvidenze e gli impegni governativi (che dovrebbero soprattutto operare nel senso della estirpazione  di manufatti cresciuti intensivamente negli alvei fluviali) la necessità primaria, in armonia con le indicazioni internazionali, sarà quella di ridurre le emissioni – causa indiretta, ma possente delle catastrofi idrogeologiche –  varando urgentemente un piano di adattamento ai cambiamenti climatici in atto. È necessario che ci sia anche un grande piano di risanamento sull’esempio di quello messo a punto dall’Italia nel secondo dopoguerra: per questo  è opportuno che i cittadini chiamino a raccolta i sindaci per un “grande programma di rilancio delle città” e più in generale per chiedere alla politica di attivare tutte quelle leve che consentono di efficientare il sistema a costo zero a partire dalla semplificazione amministrativa.

Le risorse ci sono: come leggiamo dal Sole 24 ore “nelle casse dei comuni sono bloccati quarantaquattro miliardi che non possono essere spesi per il patto di stabilità”,  ha infatti denunciato il vice presidente dell’ANCI Enrico Borghi, mentre l’Ad Unicredit, Federico Ghizzoni ha ricordato come in Italia le potenzialità del project financing siano ancora tutta da sfruttare: “ i capitali non mancano ma la strutturale incertezza sulle tariffe scoraggia tutti gli investitori che cercano rendite anche non  elevatissime ma stabili nel tempo”.

Dunque per uscire dalla crisi  forse  non serve tanto il ponte sullo stretto di Messina ma un grande sforzo per la protezione e la manutenzione del territorio.

Nella foto: un gruppo di volontari della Protezione Civile di Varese

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